domenica 20 dicembre 2015
​​Solo il 2% dei figli di separati sta egualmente con mamma e papà. Nel 90% dei casi minori collocati presso un genitore e sono poche le speranze di una svolta a breve.
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«Superiore interesse del minore». Proposito lodevole che troppo spesso diventa strumento ideologico. Quando si dice di voler affrettare i tempi dell’approvazione della legge sulle unioni civili, compresa la pericolosa e probabilmente incostituzionale pratica definita stepchild adoption, per aiutare tanti bambini in difficoltà, i casi sono due: o si ignorano i termini reali della questione o si fa un discorso in malafede. Tralasciando la seconda ipotesi, chi sono davvero i minori alla prese con leggi che non tutelano i loro diritti? I sostenitori dellastepchild adoption raccontano che in Italia esistano migliaia di coppie eterosessuali che si disgregano e altrettante coppie omosessuali che si ricompongono sulle ceneri di quelle, lasciando figli che hanno assolutamente bisogno di un nuovo genitore, rigorosamente dello stesso sesso di quello rimasto ad accudirli. La lobby Lgbt diffonde da qualche anno l’incredibile cifra di 100mila minori che oggi in Italia vivrebbero con genitori omosessuali. Si tratta naturalmente di una cifra propagandistica, irreale ma che, soprattutto, non può essere accertata e che non compare in nessuna statistica ufficiale.  Invece sul numero dei figli della separazione siamo statisticamente certi. Sono oltre un milione e per loro l’attuale legge sull’affido condiviso – approvata in Italia nel 2006 – si sta rilevando uno strumento ingiusto, nel senso che non assicura affatto ad entrambi i genitori pari responsabilità educativa. Nei giorni scorsi si è tenuto a Bonn il convegno annuale delle associazioni che si occupano di affido condiviso. Presenti oltre 100 professionisti (avvocati, psicologi, magistrati, medici, mediatori familiari) in rappresentanza di 20 nazioni. La bocciatura per la situazione italiana è risultata senza appello. Per comprendere i termini di valutazione, bisogna sapere che per gli esperti è importante distinguere tra affido 'paritetico' – condizione auspicabile – 'legalmente condiviso', 'materialmente condiviso' e 'materialmente esclusivo'. In Italia solo il 2 per cento dei minori figli di separati gode di un affido realmente paritetico, in cui cioè mamma e papà sono realmente e concretamente presenti in modo educativamente efficace, con tempi equipollenti. Percentuale che sale al 40% in Svezia e al 30% in Belgio, le due nazioni europee che vantano le legislazioni considerate migliori. Se poi si guarda la questione da un’altra prospettiva e si esaminano i bambini protagonisti di un affido 'materialmente esclusivo' si vedrà che in Italia siamo al 95% dei casi. Ma non si tratta di un primato invidiabile, perché il dato si riferisce a una suddivisione del tutto squilibrata dei ruoli genitoriali in cui, al di là della definizione 'legale' di condivisione, i minori sono di fatto collocati presso un genitore – 9 volte su 10 la madre – che esclude l’altro dalla vita del figlio, con un tasso di conflittualità che la legge del 2006 non è riuscita a contenere. Ora, la presenza contemporanea o comunque armonica della figura paterna e di quella materna per un corretto sviluppo psicologico dei figli, è una di quelle verità accertate in modo condiviso da scuole psicologiche di diverso orientamento. Ma a ribadirlo è arrivata anche una sorprendente risoluzione del Consiglio d’Europa. Il documento, passato sotto silenzio forse perché politicamente scorretto, è stato approvato il 2 ottobre scorso con 46 voti a favore e solo 2 contrari e dice, senza possibilità di interpretazioni svianti, che i figli di genitori separati vivono meglio se trascorrono tempi più o meno uguali con mamma e papà. Un papà 'uomo' e una mamma 'donna'. Per realizzare questo obiettivo è necessario, però, che l’affido non sia solo 'legalmente' ma anche 'materialmente' condiviso. In sostanza la condivisione non può essere solo un enunciato giuridico, come capita in Italia nella maggior parte delle occasioni, ma deve tradursi in prassi concreta. Non solo, il Consiglio d’Europa ha detto che, proprio per evitare gravi forme di discriminazione della genitorialità paterna, le legislazioni dei Paesi in cui non viene assicurata ai bambini la presenza equilibrata e costante di entrambi i genitori, devono al più presto adeguare le loro norme. Non c’è da sperare però che in Italia la svolta avvenga in tempi brevi. Due ottime proposte di legge – quella presentata da Sberna e Binetti alla Camera nel luglio 2014 e quella da Divina al Senato nel luglio di quest’anno – che vanno nella stessa direzione auspicata dal Consiglio d’Europa e ribadita nei giorni scorsi a Bonn, sono ben lungi dall’essere approvate. E quando la sezione italiana dell’International council on shared parenting ha inoltrato la risoluzione al garante nazionale per l’infanzia e ai vari garanti regionali, ha avuti come risposta un silenzio quasi totale. Solo da Veneto, Basilicata e Campania brevi cenni di riscontro. Un po’ poco per sperare in un’inversione di tendenza.
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