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Non ci sono solo le Ong a puntare il dito contro il rinnovo del memomorandum con la Libia. Ieri il Consiglio d’Europa ha chiesto all’Italia di «sospendere con urgenza le attività di cooperazione con la guardia costiera libica almeno fino a quando quest’ultima non possa assicurare il rispetto dei diritti umani».
«Migliaia di esseri umani hanno rischiato la vita per cercare protezione. È vergognoso che chiudiamo un occhio su di loro – scrive Dunja Mijatovic, commissario dei diritti umani del Consiglio d’Europa in un post su Facebook –. Questa tragedia è andata avanti da troppo tempo e i paesi europei hanno contribuito ad essa. È urgente che l’Italia, l’Unione europea e tutti i suoi Stati membri prendano provvedimenti per porvi fine».
Anche Human Rights Watch, l’organizzazione non governativa che si batte per i diritti umani, ha acceso i riflettori sui decreti sicurezza, chiedendo all’Italia di abrogarli e di rivedere completamente l’accordo con la Libia. Un accordo che ha fatto da cornice al sostegno della cosiddetta guardia costiera libica e ai respingimenti dei profughi nei centri di detenzione. «La collaborazione, se dovesse continuare – aggiunge Judith Sunderland, direttore Europa e Asia centrale della Ong americana – deve essere condizionata al rispetto dei diritti umani dei migranti ma, nella situazione attuale, è difficile pensare di ottenere questa collaborazione in una situazione di guerra e con una cosiddetta guardia costiera libica che riporta le persone nei centri dove sappiamo tutti che esistono condizioni terrificanti».
Anche Medici Senza Frontiere (Msf) chiede alle autorità italiane di non rinnovare l’accordo con la Libia. «Ignorare le conseguenze di questi accordi – sostiene Marco Bertotto, responsabile per gli affari umanitari di Msf – è impossibile, oltre che disumano. Anche grazie al supporto dell’Italia persone innocenti e vulnerabili sono intrappolate in un paese in guerra, costrette a vivere situazioni di pericolo e minaccia o sottoposte a un sistema di detenzione arbitrario e spietato».
Intanto, dall’altra parte del Mediterraneo è sempre più caos. L’impennata delle partenze e dei salvataggi da parte delle navi Ong nelle ultime settimane dimostra che a Tripoli e lungo le coste, in questo momento, la questione flussi migratori è diventata strategica.
L’odissea in mare e l’inferno libico
1.275
I profughi sbarcati in Italia da inizio anno, contro i 202 del gennaio 2019 e i 4.182 del gennaio 2018
114
I minori stranieri non accompagnati giunti da gennaio (1.680 in tutto il 2019 e 3.536 nell’anno 2018)
70
I profughi morti nel Mediterraneo, da inizio anno, nel tentativo di raggiungere l’Europa
947
I profughi catturati in mare dalla cosiddetta guardia costiera libica e riportati a terra da inizio anno
3.000
I profughi rinchiusi nei campi di prigionia 'ufficiali'. Sconosciuto il numero dei prigioneri dei trafficanti
L’aumento delle partenze potrebbe essere infatti l’arma utilizzata da Tripoli per un maggiore potere di rinegoziazione del memorandum con Roma, in scadenza domani. Dall’altra parte, l’ingresso nel conflitto libico, di Russia e Turchia, ha sottolineato il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, «ha contribuito ad intensificare le tensioni nel Paese». E sulla questione del Paese nordafricano Guerini ha anche Roma lanciato un appello agli Stati Uniti. «Il loro impegno in Libia è molto importante – ha aggiunto nel corso di una conferenza stampa al Pentagono con il segretario alla difesa Marc Esper,– e devono mettere sul tavolo tutto il loro peso politico per arrivare ad una soluzione politica e non militare».
Continua a navigare, ancora senza un porto, la nave Ong Open Arms che la scorsa notte ha effettuato il suo quinto soccorso delle ultime 72 ore. Sono in tutto 363 i profughi a bordo: 355 uomini e 8 donne. Fra loro anche 97 minori stranieri non accompagnati, mentre un bimbo di 5 anni viaggia con la madre. «Malta – ribadisce Open Arms – ha più volte negato il ' place of safety' ».