I pm del pool per i reati ambientali hanno chiesto 28 e 25 anni di carcere per i Riva, ex proprietari dell’Ilva, tra i 47 imputati (44 persone e tre società). Cinque anni sono stati chiesti per l’ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola - Ansa
La confisca dell’Ilva di Taranto e dell’equivalente di 2 miliardi e 100 milioni in solido per le tre società dei Riva. Sono le richieste che ieri, al termine del nono giorno di requisitoria, i pubblici ministeri Mariano Buccoliero, Giovanna Cannarile, Remo Epifani e Raffaele Graziano, hanno formulato insieme a quelle di condanna per i 47 imputati, di cui 44 persone fisiche e tre società, Riva Fire, Riva Forni Elettrici e Ilva. È iniziato in una caldissima giornata di metà giugno del 2014 il maxi processo 'Ambiente Svenduto', sul disastro ambientale e sanitario causato dall’ex Ilva a Taranto.
La Corte d’Assise, presumibilmente, sancirà la fine a maggio prossimo. Nel mezzo lo snodo cruciale, con le richieste dell’accusa. Nel processo sono coinvolti, oltre la famiglia Riva, i dirigenti e i fiduciari del siderurgico, la politica ma anche chi si sarebbe dovuto occupare dei controlli e, per l’accusa, ha chiuso un occhio. Per Fabio e Nicola Riva, figli del patron scomparso, ex proprietari e amministratori dell’azienda, rispettivamente sono state formulate richieste di 28 e 25 anni. Sono stati chiesti 28 anni anche per Luigi Capogrosso, ex direttore del siderurgico al tempo dei Riva e per Girolamo Archinà, delegato alle pubbliche relazioni, colui che teneva «i contatti con i rappresentanti dei vari uffici» e premeva «per il buon esito delle autorizzazioni della fabbrica, riuscendo a pilotare l’operato degli enti pubblici», ha detto il pm Buccoliero negli scorsi giorni. I reati contestati agli imputati, a vario titolo, vanno dall’associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, all’omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro, all’avvelenamento di sostanze alimentari, fino a corruzioni in atti giudiziari ed omicidio colposo. Tra i nomi illustri, per cui è stata richiesta condanna, spicca l’ex presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, 5 anni, l’ex presidente della Provincia Gianni Florido, 4 anni e l’ex assessore Michele Conserva, 4 anni anche lui. Che il sistema fosse collaudato alla corruzione, lo si evince anche dalla richiesta di condanna per l’ex consulente della Procura, Lorenzo Liberti, accusato di aver scritto il falso nelle sue consulenze, e per cui sono stati chiesti 17 anni di carcere. Ancora, 17 anni per l’ex prefetto di Milano Bruno Ferrante, che faceva parte del cda del siderurgico. Per Nicola Fratoianni e Donato Pentassuglia, ex assessori della Regione Puglia, il primo anche attuale parlamentare di Sinistra Italiana, 8 mesi per favoreggiamento. Un anno per Giorgio Assenato, ai tempi a capo dell’Arpa Puglia, l’Agenzia regionale di Protezione dell’Ambiente. I nomi sarebbero molti altri, tutti legati alla famiglia Riva in qualità di dirigenti, funzionari e 'governo ombra' dello stabilimento, cioè 'collaboratori' esterni, non inquadrati da nessuna parte, che nei fatti impartivano gli ordini per portare avanti il lavoro in fabbrica. Per tutti questi imputati, compresi i capi area, si va dai 2 ai 20 anni di carcere. «L’attività – ha sostenuto il pm Buccoliero negli scorsi giorni – era quella di andar la mattina al lavoro e far marciar gli impianti al massimo. Tutti conoscevano le problematiche dei loro settori ma anziché evidenziarle, le nascondevano. Hanno ceduto alla logica del profitto aziendale e personale. L’obiettivo era nascondere». Per il pm Giovanna Cannarile, che ha parlato ieri, addirittura l’Aia, l’Autorizzazione Integrata Ambientale, il 'passaporto' necessario per la produzione di aziende come l’ex Ilva, nel 2011 (ai tempi era Ministro per l’Ambiente Stefania Prestigiacomo, ndr) «è stata pilotata».
Il processo "Ambiente svenduto"
Dopo un primo rinvio a giudizio nell’ottobre del 2015 annullato per un vizio di forma, il secondo rinvio a giudizio del processo 'Ambiente Svenduto' risale esattamente a cinque anni fa, febbraio del 2016. L’inchiesta sfociò il 26 luglio 2012 nel sequestro degli impianti dell’area a caldo dello stabilimento siderurgico e nell’arresto di una parte dei vertici aziendali. A vario titolo sono contestati tra l’altro due omicidi colposi in relazione alla morte sul lavoro di due operai.