«Integrano il reato» previsto dal Testo unico sulle droghe (articolo 73, commi 1 e 4, dpr 309/1990) «le condotte di cessione, di vendita, e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa, salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante». In una parola, più comprensibile e dirompente per le conseguenze che avrà nei prossimi mesi, vendere i prodotti derivati da cannabis light è vietato. Eccola, la tanto attesa - e stavolta non equivocabile - decisione presa dalla Cassazione a sezioni unite. Su cui ora i legali di mezza Italia dovranno mettersi al lavoro per capire che ne sarà dell'enorme segmento di mercato nato e cresciuto attorno al business della canapa.
In particolare, spiegano provvisoriamente i giudici, «la commercializzazione di cannabis sativa e di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell'ambito di applicazione della legge 242 del 2016 sulla promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa» che, va ricordato, qualifica come lecita unicamente l'attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel catalogo comune delle specie di piante agricole e «che - spiega la Cassazione - elenca tassativamente i derivati dalla predetta coltivazione che possono essere commercializzati». Ovvero, come si legge chiaramente al punto 3 dell'articolo 1 «alimenti, cosmetici, materie prime biodegradabili e semilavorati innovativi per le industrie di diversi settori».
Niente più foglie essiccate da fumare, o liquidi per la sigaretta elettronica, o ancora gocce e oli da ingerire. Cioè i prodotti di punta degli oltre mille cannabis shop nati in Italia negli ultimi anni, il cui futuro ora sembra più che mai incerto.
Immediate le reazioni politiche. Nel governo esprime soddisfazione il ministro per la Famiglia, con delega alle politiche anti droga, Lorenzo Fontana, mentre il collega agli Interni Matteo Salvini ribadisce di essere "contro qualsiasi tipo di droga, senza se e senza ma, e a favore del divertimento sano". Da più parti si leva la richiesta di chiudere i cannabis shop. E intanto anche Google mette al bando nel suo negozio di applicazioni, il Play Store, le app che vendono marijuana, indipendentemente dal fatto che in alcuni Stati sia legalizzata.