La compagnia Lombardi Tiezzi al Festival di Santarcangelo nel 2003
Provare ad abbracciare con un film mezzo secolo di storia del Festival di Santarcangelo di Romagna è come mettersi sulle tracce degli ultimi cinquant’anni di storia del teatro italiano e mondiale, per i quali Santarcangelo ha rappresentato un nucleo radiante e insieme un passaggio imprescindibile. Impresa sul confine dell’impossibile, dunque, sia per la vastità abissale della materia in oggetto, sia per la sua essenza di irripetibilità, che è appunto la ragion d’essere più intima e irriducibile del teatro. Come voler afferrare lo spettro infinito e impalpabile dei qui e ora esperiti dagli artisti e dalle singole individualità dei fruitori nel corso nel tempo…
Eppure Michele Mellara e Alessandro Rossi, con 50 Santarcangelo Festival, domenica a Venezia nella sezione Giornate degli Autori, hanno saputo immaginare intelligenti vie di intersezione tra teatro e cinema, risorse creative e linguaggi, fino a forgiare come uno specchio altro di consapevolezza in cui il festival ha avuto la chance di riflettere in modo evocativo sul proprio tracciato e di farne memoria.
Così quest’eco smisurata di teatro e di vita aumentata risuona ora nei filmati di repertorio per le strade del paesino di allora - l’estate del 1970 in cui Romeo Donati, l’allora sindaco di Santarcangelo, con un gesto semplice e diretto propone al regista Piero Patino di fondare e guidare un “Festival Internazionale del Teatro in Piazza”, che apra a visioni del mondo lontane dal consumismo; ora in una cena dove alcuni amici collaboratori ed esperti del festival evocano e dialogano con voci passate e in presenza dell’albero genealogico dei suoi direttori e direttrici (da Patino a Motus dell’edizione resiliente di quest’anno, a Roberto Bacci, ad Antonio Attisani, Ferruccio Merisi, Leo De Bernardinis, Silvio Castiglioni, Olivier Bouin, Chiara Guidi, Enrico Casagrande, Ermanna Montanari, Silvia Bettiroli, Eva Neklyaeva, Lisa Gilardino), ora si perdono per le stradine medievali di Santarcangelo, con le mura del suo castello testimoni di questa immane storia, ora attraccano le locandine rimpicciolite come fossero palline a un albero di Natale, ora risuonano nelle voci di una miriade di bambini e bambine che durante un laboratorio con Marco Martinelli, gridano in coro: Vladimir Majakovskij!
Mentre sussurra la voce di Mariangela Gualtieri: “Ringraziare desidero per l’amore che ci fa vedere gli altri come li vede la divinità”. E scorrono frammenti che si depositano sul fondo del fiume del festival, tra i raggi deflagranti del Terzo teatro, col suo manifesto scritto da Eugenio Barba nel ’76: Piccolo Teatro di Pontedera, Teatro Potlach, Teatro Valdoca, Teatro di Ventura.. E Mimmo Cuticchio con la sua narrazione a ritmo spezzato delle gesta dei pupi, Dario Fo che fa ridere il pubblico con le sue risa dal profondo a comando, Paolo Rossi e il teatro dell’Elfo e il testo sul razzismo verso i meridionali, i terroni dalla “Calabria Saudita” su cui si riversa la xenofobia di allora, e Virgilio Sieni e la Societas Raffaello Sanzio e Zimmer Frei e Other spaces… Mentre a ogni direzione il festival cerca di rimodellare la sua identità, di fronteggiare le promesse mancate della politica, di trovare punti di congiunzione e di dissidio tra il lessico di artisti pubblico e critici, di emergere oltre la crisi atroce del 2008 - avviene grazie alle compagnie dell’Emilia Romagna che lavorano senza compenso. E mentre il piccolo borgo di Santarcangelo si apre alla conoscenza profonda della propria umanità, allo spirito critico che si fa corpo e occhi di chi tesse la trama infinita del festival.
“Ci vediamo a Santarcangelo, queste erano le parole, era la nostra piazza, un’assemblea, un luogo corale dove discutere di teatro e di filosofia… Perché, come afferma appassionatamente Toni Servillo durante una prova dei Teatri uniti, pensando a Ĉechov e a questi magnifici 50 anni, possiamo dire che a Santarcangelo “Non è successo nulla ma è successo tutto”.