giovedì 2 novembre 2023
A venticinque anni dall’enciclica “Fides et ratio” Antonio Staglianò scrive un saggio in forma epistolare Ispirandosi anche al filosofo della complessità Edgard Morin
Antonio Staglianò, presidente della Pontificia Accademia Teologica

Antonio Staglianò, presidente della Pontificia Accademia Teologica - archivio

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«Io chiedevo non se siete credenti o non credenti, ma se siete pensanti o non pensanti. L’importante è che impariate a inquietarvi. Se credenti, a inquietarvi della vostra fede. Se non credenti, a inquietarvi della vostra non credenza. Solo allora saranno veramente fondate». Correva l’anno 1987. Il cardinale Carlo Maria Martini commentava con queste parole l’apertura nella città di Milano della prima “Cattedra dei non credenti”. La proposta, sorprendente e quanto mai opportuna, intendeva offrire ai cosiddetti non credenti la possibilità di esporre la fiducia nelle proprie ragioni e favorire nei credenti un atteggiamento di ascolto pensoso per argomentare le ragioni della loro proposta di fede.

A distanza di 36 anni da quella intuizione di Martini e a 25 anni dalla pubblicazione della lettera enciclica Fides et ratio di Giovanni Paolo II, Antonio Staglianò, presidente della Pontificia Accademia Teologica, pubblica il testo Ripensare il pensiero (Marcianum press, pagine 312 euro 26,00, prefazione di papa Francesco). «Ai pensanti (credenti e non)» d’altra parte sono dedicate queste sue pagine. Con acume intellettuale, sapiente creatività ed abilità estetica nella scrittura alle quali da tempo ci ha abituati, Staglianò riporta al centro della riflessione lo stesso pensiero.

Questo è necessario sia alla fede per evitare il rischio di uno scadimento in superstizione o fanatismo sia alla ragione per non dover lasciare lo spazio lasciato vuoto, proprio per l’emigrare del pensiero, in favore del proliferare di filosofie scettiche o nichiliste. Il titolo dato al libro richiama una delle celebri espressioni del filosofo, sociologo e saggista francese, l’ultracentenario Edgar Morin. Anche se mai esplicitamente citato, Staglianò deve molto all’intuizione dell’iniziatore del pensiero complesso, nell’auspicio della rinascita di una sapienza creativa, che superi la distinzione dei saperi, verso una visione d’insieme in grado di rispondere alle sfide e alle inquietudini del nostro tempo. Altri sono invece gli interlocutori e destinatari diretti di otto lettere-saggio che costituiscono il corpo del libro: dai pastori papa Francesco e il vescovo Vincenzo Rimedio ai teologi Tommaso d’Aquino e Benedetto XVI, dai filosofi Blaise Pascal e Carmelo Ottaviano agli esperti di Rosmini e Severino, vale a dire gli studiosi Tadini e Testoni.

I contenuti delle lettere sono percorsi più volte battuti dall’autore: il lavoro sinergico tra teologia, filosofia e la pluralità di scienze; lo sviluppo di una teologia popolare che sappia parlare al cuore di tutti e sia al servizio del vangelo insieme all’umana simpatia verso i saperi del mondo; la ragione nel cuore degli erramenti di un pensiero pensante, che non sia la fredda razionalità logico-scientifica in grado di calcolare e applicare regole formali ma che diventi sapienziale, cordiale secondo la pascaliana ragione del cuore, intuizione dell’esprit de finesse che spesso la ragione geometrica non conosce; il servizio reciproco e circolare di ragione e fede, distinte senza separazione, unite senza confusione.

Staglianò conosce bene come la legittima distinzione tra fede e ragione, avvenuta già nel tardo medioevo, nell’età moderna si trasformi progressivamente in una nefasta separazione: tale verità con lucidità espressa in Fides et ratio (45) diventa per l’autore l’inizio di un nuovo percorso di pensiero che, lungi dalla debolezza scettica, intende restituire alla ragione la pregnanza della sua missione. Insieme ai già menzionati, il ventaglio di interlocuzione non può che essere più variegato: da Newman a Sequeri, da Marion a Lonergan, da Coda a Naro, insieme a cantautori come Bennato, Caccamo, Gaetano, Guccini, i Nomadi, dai quali l’autore trae spunti, intuizioni, aneliti, trepidazioni e provocazioni per ripensare il pensiero della fede. Il testo di Staglianò lancia il guanto della sfida, per usare un’immagine cara all’autore e, «abbattuti i bastioni», auspica l’audacia di una scommessa, urgente e necessaria, da vincere insieme credenti e non credenti: il ritorno possibile di una conversione verso l’unità di fede e ragione, per un pensiero critico e sempre aperto e una fede pensosa e mai sazia capace d’innervare l’umana esistenza.

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