Luciano Gaudenzio. Cima Cresta Croce, Gruppo dell'Adamello
A un secolo dalla fine della Grande guerra, cos’è rimasto di tre anni di ferocia in territori all’epoca poveri, oggi ricchi di natura, serenità, pace? Poco e molto allo stesso tempo. Proprio la ricerca dei segni di contraddizione nascosti tra parchi e trincee, tra turisti e monumenti, ha spinto quattro fotografi e un videomaker a ripercorrere i luoghi teatro di battaglie. L’idea è celebrare il sacrificio dei tanti inconsapevoli protagonisti, per conservarne la memoria e comprendere appieno - e apprezzare - il significato della pace.
Cinque approcci diversi, dunque, cinque modi di rileggere i tortuosi confini tra Italia e Impero austro-ungarico, per poi raccontarli nella mostra gratuita inaugurata nei giorni scorsi a Trento, a Palazzo delle Albere, aperta fino al 2 settembre. La bella villa-fortezza cinquecentesca dei principi-vescovi Madruzzo sorge a due passi dal modermissimo Muse, il museo delle scienze di Renzo Piano.
«Cent’anni dopo, ricordi di guerra, sguardi di pace» è infatti il titolo dell’esposizione su due piani di 162 fotografie. Il progetto mette insieme l’opera dei fotografi Giulia Bianchi, Luciano Gaudenzio, Daniele Lira, Pierluigi Orler e del videomaker Gianluca Colla. «Un passato lontano, il 1918, e sempre vicinissimo che per chiunque visiti il Trentino è impossibile da ignorare», spiega la curatrice Giovanna Calvenzi.
I cinque artisti, spiega, «hanno percorso e ripercorso il Sentiero della Pace, il lungo itinerario che unisce il Tonale alla Marmolada e attraversa i luoghi teatro di una guerra che ha lasciato ferite incancellabili». E nei paesaggi mozzafiato di natura catturati da Luciano Gaudenzio, «Lo sguardo oltre» che intitola la sua sezione scova l’elemento che spezza l’equilibrio: un obice , un fortino che spunta dalla soffice coltre di neve, un sentiero che racconta di scarponi trascinati.
Daniele Lira cerca «Mutazioni» e le trova nelle sdraie prendisole, nella turista coi sandali a 2.997 metri sul Passo Presena, nelle mountain bike colorate, nelle bancarelle al Sacrario sul Passo del Tonale, nel bambino che gioca alla guerra su una torretta del Forte Busa Grande.
Gianluca Colla invia «Dispacci...» e firma anche due installazioni sonore, che al primo piano diffondono le esplosioni lugubri e i mortai della ricostruzione di un assalto alla prima linea, mentre al secondo i suoni della montagna che ha ritrovato il canto degli uccelli, lo stormire delle fronde, i saluti degli escursionisti che si incrociano sui sentieri.
Giulia Bianchi mette in scena un «Teatro di guerra»: crudo e diretto nelle foto di elmetti, bombe srapnel, asce e mazze chiodate per finire le vittime dei gas, allusivo e sfumato nelle tessiture grafiche di pareti sbrecciate, muschi, pietre di trincea. «Sentimenti dolci e amari» è il registro scelto infine da Pierluigi Orler, che alterna incantevoli paesaggi crepuscolari alle pietre e ai ghiacci delle gallerie militari istoriate dai graffiti della truppa.
Lo scrittore triestino Paolo Rumiz ha scritto che «quando la guerra di trincea tocca la montagna, la percezione della guerra si fa ancora più forte». E oggi, in un continente che nonostante due conflitti mondiali ancora ospita la guerra - dai Balcani all’Ucraina - «abbiamo urgente bisogno di ricordare quella guerra per evitare che l’Europa ricada nella tentazione del suicidio. Ebbene: gli alzabandiera non bastano più. Le commemorazioni ufficiali nemmeno. Abbiamo bisogno di evocare. Di sentire. Di ascoltare i silenzi e gli echi di quei luoghi».