Giovanni Lindo Ferretti, 69 anni, ex leader CCCP, CSI, PGR - Martina F. Chinca
«Ciò che deve accadere accade». Non è solo il verso di una sua celebre canzone ma il manifesto di vita di Giovanni Lindo Ferretti, l'ex leader dei CCCP-CSI-PGR. E così "accade", non per caso ma «per grazia di Dio», come direbbe lui, di incontrarlo una sera a Milano presso l'incantevole chiostro di Santa Maria delle Grazie per la presentazione del suo nuovo libro: Óra - difendi conserva prega (Compagnia editoriale Aliberti, pp. 128, euro 12). Assomiglia a un diario, schietto e controcorrente, come nel suo stile. Del resto che l'ex leader del punk filosovietico firmi oggi un volume di preghiere stupisce certo, ma solo chi non ne ha compreso la svolta spirituale. A 69 anni Lindo Ferretti è uno che ha fatto i conti con la propria storia, non la rinnega, ma è felice di essere tornato a "casa", la tradizione cattolica in cui è cresciuto. Basta incrociare i suoi occhi per accorgersene. Così come colpisce la sua affabilità: «Per quanto preferisca vivere nel silenzio non mi dispiace conversare». Un uomo "a cuor contento" (come il titolo di un suo album), prodigo di aneddoti. Da quando la maestra del collegio lo portò a un provino dello Zecchino d'Oro («ero davvero imbarazzato»), ai primi esordi dei CCCP-Fedeli alla linea negli anni Ottanta («all'epoca gridavo, la mia voce era un urlo, una lamentazione»). E dire che «non avrei mai pensato di fare il cantante... Sognavo di fare le cose che facevano mio padre, mio nonno, i miei nonni, pastori e allevatori». E lì vive oggi, lontano dal mondo, a Cerreto Alpi, borgo di una manciata di abitanti sull'Appennino reggiano. Le mani robuste e gli stivali da cavallo tradiscono la sua dimensione quotidiana di lavoro e contemplazione («Anche pulire la stalla è un po' come pregare»). Qui è nato anche questo "breviario" sui generis, dove non ci troverete nessuna orazione scritta di suo pugno («sono un miserrimo, non mi sognerei mai»), ma le preghiere di tutti i giorni, quelle della sua infanzia. Perché alzare gli occhi al cielo è un atto di umiltà e il riconoscimento della nostra piccolezza: «Non mi salvo non mi salverò con sforzi di volontà, diete rigeneranti ed esercizi ginnico-psichici».
Pregare è un imperativo dice già il titolo del libro, ma perché dovremmo pregare tutti?
Siamo tutti di fronte alla vita come a un mistero. Ogni civiltà cambia nome all'indicibile, però c'è un indicibile. Nella mia vita prima del "perché" si prega c'è stato il "come" si prega. Ho imparato a pregare nel lettone di mia nonna prima di addormentarmi. Questo libro l'ho pensato per le persone a cui voglio bene: il 99% di esse non prega. Siamo diventati così razionali, così pieni di noi stessi che uno pensa "vabbè pregano i santi"... E invece no. Può pregare anche un assassino. Prega chi ne ha più bisogno. Più sei miserevole più la preghiera è un sostegno per te.
Viviamo secondo lei in un tempo «ateo scientifico» dominato dalla tecnologia da cui ha preso le distanze...
Assistiamo impotenti a una mutazione antropologica, gli uomini stanno cambiando per i danni della tecnologia che ha preso il sopravvento sulla dimensione ragionevole dell'uomo. Non voglio però che si pensi che io viva senza la corrente elettrica... Mia nipote per esempio mi ha fatto scoprire l'iPad per mandare le mail: quando scrivevo per Avvenire usavo il fax dei miei vicini di casa...
Dal suo libro si evince l'importanza dei legami familiari in un tempo di disgregazione. Lei ha dovuto fare in conti con la scomparsa di suo padre prima che lei nascesse.
L'attacco alla famiglia è un attacco suicida da parte della nostra società. A me è mancata la fisicità di un padre. Da orfano rimugini una vita intera questa mancanza, però mi sento fortunato perché sono cresciuto in una famiglia che parlava di mio padre. Lui è morto ma non è che non c'era. Per questo ripeto: "Nato tra i morti sui monti vivo sui monti tra i morti". La vita è così, sa essere crudele, violenta, ma è sempre un dono incommensurabile e bisogna comunque apprezzarlo anche nelle difficoltà e nelle tragedie.
Non ha paura della morte?
Come si fa ad aver paura di morire? È come aver paura di vivere. La morte è un passaggio o una fine pensala come vuoi. È indubitabile però che moriremo tutti. Si nasce, si vive, si muore. L'inizio e la fine vanno meditati. È il mistero della vita così bello da contemplare che non si può ridurlo a inezie. E invece ci perdiamo nelle stupidaggini e nelle banalità. Quando non si crede in Dio si crede a tutto.
Lei ha creduto al comunismo. Oggi definisce sé stesso in quegli anni come uno «sciocco giovinastro asservito agli slogan del momento».
Perché non si porta il paradiso sulla Terra. L'assalto al cielo non si fa. Un santo papa ha definito il comunismo «un male necessario»: mi sono arrovellato e ho compreso. Per l'evoluzione della società è stato "necessario" perché chi vuole vedere possa vedere.
Vive lavorando e pregando, non ha mai pensato di entrare in un ordine monastico?
Ci ho pensato tante volte. E spero che lo pensino tutti almeno una volta nella vita. Però il mio non è uno scappare dal mondo che avrebbe senso solo nella clausura altrimenti è da sciocchi. Il mondo è bello da guardare, non per guardarti allo specchio. E la meraviglia del vivere contempla diverse opzioni, c'è chi ama il mare e chi la montagna...
Saint-Exupéry ha scritto che «tutti i grandi sono stati bambini una volta. Ma pochi di essi se ne ricordano». Lei invece non lo dimentica affatto.
Perché penso di essere lo stesso bambino cresciuto in un borgo dell'Appennino, un bimbo molto fortunato già allora. Eravamo molto poveri, la morte di mio padre ci ha tolto tutto, la mamma ha mandato avanti la famiglia, siamo gente tosta da quelle parti. Sono stato molto amato e non mi sono mai sentito così difeso e protetto come quando avevo la mia mano in quella di mia nonna che stringeva il rosario. Ringrazio Dio per la mia infanzia.
Leggendo il suo libro si ha la sensazione di ascoltare le sue canzoni.
C'è una dimensione orale del mio scrivere: prima di approvare quel che scrivo devo declamarlo. Le preghiere sono quelle dei miei avi non sono meditazioni mie. Ho imparato a pregare in latino anche se parlavamo solo dialetto. Molte preghiere mi sono state insegnate cantate, se possibile meglio cantarle.
C'è una canzone sua a cui è particolarmente legato?
Per la prima volta ho riascoltato tutti i miei dischi incisi in 40 anni. Sono contento nell'insieme. Cito la mia "triade mistica": Madre, Annarella, Amandoti. Però anche riascoltando Emilia paranoica la trovo piena di vita, lucida razionalità e disperazione...
Nel suo futuro c'è ancora la scrittura o un nuovo disco?
Non lo so. Ho impegni familiari gravosi che non mi permettono di pensare a un nuovo disco. Sono però vivo, attento alle cose che succedono intorno a me. E finché sono vivo può succedere qualsiasi cosa, non metto preclusioni. Ciò che deve accadere accade.