
Francesca Cappelletti - Ansa
Francesca Cappelletti, di sicuro, non ha bisogno di presentazioni. Professore ordinario di Storia dell’arte moderna all’Università di Ferrara e direttrice della Galleria Borghese, è fra gli studiosi più raffinati che il panorama italiano possa offrire anche sul piano internazionale. Tuttavia, se c’è un argomento che ha indagato fin dagli studi iniziali, questo va individuato nella figura di Michelangelo Merisi detto Caravaggio. Al di là delle prime ricerche sui documenti (pubblicati, nel 1993, in “The Burlington Magazine”)di quello che si sarebbe rivelato il capolavoro del maestro dedicato alla Cattura di Cristo oggi conservato a Dublino, non si possono non ricordare un libro come Caravaggio. Un ritratto Somigliante, edito da Electa nel 2009 e superbamente illustrato, oppure un contributo più recente che pone l’accento sul perduto ritratto del Merisi per il cavalier Marino (che la direttrice ha valorizzato con la mostra alla Galleria Borghese intitolata Poesia e pittura nel Seicento.Giovan Battista Marino e la meravigliosa passione, chiusa il 9 febbraio) pubblicato nel libro miscellaneo curato da Alessandro Zuccari su Il giovane Caravaggio “Sine ira et studio”, edito nel 2016 da De Luca Editori d’Arte.

Caravaggio, “Giuditta e Oloferne”, 1603 circa - Bibliotheca Hertziana - Foto di Enrico Fontolan
A questo punto si comprende bene perché Francesca Cappelletti sia, insieme a Maria Cristina Terzaghi (cui si deve l’attribuzione, nel 2021, dell’Ecce Homo dipinto dal maestro verso il 1609 e finito negli inventari di Filippo IV di Spagna del 1666), la curatrice della mostra Caravaggio 2025 – voluta da Thomas Clement Salomon, direttore delle Gallerie nazionali Barberini Corsini – che apre oggi a Palazzo Barberini per chiudere il 6 luglio. Un evento epocale, sostenuto dal ministero della Cultura e da Intesa Sanpaolo, concepito poco più di un anno fa, con prestiti straordinari che avranno una valenza importante pure per gli studiosi che, in questo modo, senza essere costretti a prendere l’aereo, potranno confrontare i capolavori del maestro e affinare oppure verificare cronologia e attribuzioni.
Professoressa Cappelletti, gli studi su Caravaggio non si sono mai interrotti. Al di là delle ultime acquisizioni che saranno esposte, la mostra tiene conto anche delle ultime novità della ricerca?
«Certamente. Si stanno assestando gli studi meritori del 2010 e del 2011, quando ricorreva il quadricentenario della scomparsa del Maestro, ma che hanno avuto bisogno di qualche anno per essere assorbiti. Già in quegli anni si conosceva parzialmente il documento del 1597, pubblicato da Sandro Corradini e Maurizio Marini, che nella sua interezza riporta l’affermazione del garzone del barbiere di aver incontrato e di conoscere il Merisi, del quale dà una descrizione, fin dalla quaresima del 1596. Questa data divenne una sorta di momento post quem per cui non poteva essere giunto a Roma prima. Il che è un po’ difficile. In realtà gli studi tenevano conto dell’assenza di Caravaggio in Lombardia dove è documentato fino al 1592, per cui si pensava che fosse a Roma già in quell’anno o nel successivo. Non abbiamo grandi appigli documentari fra il 1592 e il 1596, ma si può pensare a un momento fra il 1594 e il 1595 per il suo arrivo. Quel che resta è il vuoto della sua attività lombarda perché poco o nulla sappiamo dell’artista prima della comparsa del Bacchino malato (in mostra, ndr) che è fra le prime opere di Caravaggio, insieme al Ragazzo con il canestro di frutta oppure il Monda frutto. Certo è che tutte queste opere sono accomunate dalle ridotte dimensioni, dalla presenza di un unico personaggio, dalla scelta della mezza figura e dalla difficoltà di collocare il quadro fra i vari generi (una novità per l’epoca), giacché sono, un po’ nature morte, un po’ ritratti e un po’ opere di genere. Il che depone per opere dell’inizio della sua carriera».
Caravaggio è uno degli artisti più discussi della storia dell’arte. Cosa rimane dei vecchi cliché? Ne sono nati di nuovi?
«Credo che l’immagine di questo pittore sia tuttora ancorata a una dimensione romanzesca che, però, non va del tutto gettata perché è anche quella che ci ha permesso di riscoprirlo. Poi, se andiamo a rileggere la biografia di Caravaggio non come se fosse l’unico pittore esistente a Roma ma si leggono anche quelle degli altri artisti, troviamo pure per loro vari documenti del tribunale, ragione per cui non era l’unico a condurre una vita fra la strada e il palazzo. Così Caravaggio ci porta nella Roma notturna, quella delle taverne, dei pittori e delle rivalità, e in quella delle grandi committenze. Per questo Caravaggio, ancora di più, va inserito in una storia dell’arte che ha anche aspetti rilevanti per la storia sociale dell’arte. In questo momento, infatti, nasce anche il mercato. I biografi già avevano scritto che lui faceva i quadri per vendere. Così se il cliché del pittore maledetto si può dire ormai superato, non dobbiamo tirarlo fuori dal contesto del suo tempo che, anzi, ci aiuta ad interpretare meglio la sua figura, come motore delle novità rivoluzionarie nella pittura fra la fine del Cinque e il Seicento».
Perché il titolo Caravaggio 2025?
«Per noi è un anno importante, ma vorrei dire anche per il mondo, perché il Giubileo è certamente un evento mondiale. Il momento di esordio dell’artista si riferisce a un altro contesto giubilare, quello dal 1599 al 1600 che rende la scelta del titolo più che giustificata. La zona di riferimento è la chiesa di San Luigi dei Francesi, vicino al palazzo del cardinal Del Monte e a quello del marchese Vincenzo Giustiniani, entrambi sostenitori del pittore e suoi primi committenti, soprattutto dopo l’impresa della Cappella Contarelli, in San Luigi, dove Caravaggio dipinse le celebri tele dedicate a san Matteo che mutarono il corso della storia della pittura. L’occasione del Giubileo va vista, poi, anche come occasione d’incontri. Infatti, probabilmente, è in quel contesto che incontrò il cavalier Marino che dedicò i propri versi a Caravaggio e al ritratto perduto che sicuramente il pittore realizzò».
Che relazione ci può essere fra il Giubileo e la vita di Caravaggio?
«Caravaggio ci porta proprio all’interno della Roma giubilare, quando si concludono i lavori di edifici importanti, ma si costruiscono pure nuovi spazi sacri. Si pensi anche ai cambiamenti all’interno della basilica di San Pietro che fece sì che poi arrivasse nella collezione Borghese la Madonna dei palafrenieri, commissionata per la nuova cappella della confraternita dei palafrenieri pontifici».
Per questa mostra lei, con una felice immagine, ha parlato di «dosi massicce di Caravaggio». Il che ci fa intuire un’impostazione prevalentemente cronologica e biografica del percorso espositivo. Tuttavia, in visita troviamo sezioni tematiche. Non è una deroga all’impostazione generale?
«All’interno di un percorso espositivo saldamente cronologico, si possono individuare dei fili conduttori; uno è quello del ritratto. Nelle fonti si citano molti ritratti di Caravaggio, quello dell’oste che lo ospitava, i ritratti fatti agli amici oppure delle persone che lo avevano accolto. Abbiamo, per esempio, voluto dar luce a questo tema perché la ritrattistica in Caravaggio è stata spesso dimenticata. Il fatto che ci sia stato il Ritratto di Maffeo Barberini nella collezione del Palazzo, ha permesso di approfondire questo tema e, infine, con il confronto fra opere che hanno la stessa modella».
Lei è stata una dei protagonisti del romanzo di Jonathan Harr, Il Caravaggio perduto. La Cattura di Cristo di Dublino è presenta in mostra...
«C’è la Cattura di Cristo, ma ci sono anche I bari che sono importanti perché per molto tempo sono stati nella collezione Barberini, dove adesso ritornano. Così questi quadri ci parlano anche di un altro aspetto della mostra, quello dei committenti. La seconda ci parla della vendita del cardinal Del Monte, mentre la prima testimonia la committenza di Ciriaco Mattei. Perciò, all’interno della mostra c’è anche questo percorso relativo ai collezionisti».
Non avete chiesto prestiti alle chiese. C’è un dispositivo o uno strumento esplicativo, in mostra, che individui dove sono le opere di Caravaggio nelle chiese di Roma?
«Nell’anno giubilare non si potevano togliere le opere dalle chiese. Così, questo è un contributo della Galleria Borghese. Infatti, per accompagnare il visitatore abbiamo pensato a una guida messa a punto grazie alla partecipazione del nostro ministero e del vicariato, con tutte le schede delle opere che il visitatore potrà trovare nelle varie chiese della città».

Il restauro del “Martirio di sant’Orsola” - Intesa Sanpaolo
Nuova luce al “Martirio di sant’Orsola”
Il Martirio di sant’Orsola di Caravaggio, capolavoro delle collezioni di Intesa Sanpaolo, è stato oggetto di un importante lavoro di pulitura in occasione della mostra Caravaggio 2025 che ha portato alla luce tre nuove figure scomparse nel tempo. Tre teste sono infatti emerse in quello che è considerato l’ultimo dipinto di Merisi, realizzato nel 1610. La revisione conservativa ha riportato colori e forme all’originaria nitidezza e brillantezza. I lavori sono stati realizzati dalle restauratrici Laura Cibrario e Fabiola Jatta presso il laboratorio di restauro delle Gallerie d’Italia di Napoli, il museo di Intesa Sanpaolo, dove il dipinto è solitamente esposto. « Il restauro conservativo, la cura attenta, la nuova cornice e una migliore protezione permettono al pubblico di conoscere sempre meglio il valore delle collezioni di Intesa Sanpaolo” ha commentato Michele Coppola, Executive Director Arte Cultura e Beni storici di Intesa Sanpaolo e Direttore Generale delle Gallerie d’Italia.