venerdì 7 ottobre 2022
Personaggio di primo piano nel dibattito pubblico francese, ha spesso sostenuto posizioni radicali, dall’appoggio ai gilet gialli a quello al “tribuno rosso” Mélenchon
Annie Ernaux

Annie Ernaux - .

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Come ha spesso ripetuto, il libro che le ha cambiato la vita non è stato un romanzo, ma un saggio divenuto il simbolo di un’epoca: Il secondo sesso, pubblicato in Francia nel 1949 dalla filosofa femminista Simone de Beauvoir, compagna di Jean-Paul Sartre. E Annie Ernaux, ieri, parlando dopo l’annuncio del Nobel, ha voluto rendere omaggio pure a un’altra figura del progressismo transalpino, il sociologo Pierre Bourdieu, celebre per le sue mordenti analisi sulla stratificazione delle società occidentali, fondate su relazioni di “dominio”. Per Ernaux, questi riferimenti intellettuali sono rimasti dei fari costanti, nel quadro di un impegno letterario a cui si è affiancato, anche negli ultimi anni, un impegno personale per cause dal sapore molto politico.

Così, in occasione delle ultime campagne presidenziali, nessuno è rimasto sorpreso nel vedere il nome della scrittrice nel comitato di sostegno del controverso leader della sinistra radicale Jean-Luc Mélenchon, il “tribuno rosso” che prometteva ad esempio un salario minimo legale a 1.400 euro netti, riportando l’età legale delle pensioni a 60 anni. Per Ernaux, proprio l’uomo che ha riacceso il fuoco di battaglie sociali «che non si vedevano più». In effetti, «combattere qualsiasi ingiustizia», come ha dichiarato ieri la scrittrice, è divenuto un impegno costante. L’impegno di una donna che in innumerevoli interviste ha evocato le proprie origini modeste, ricordando pure le relazioni di disprezzo che intercettava, fin da ragazza, nello sguardo dei ceti più agiati.

Nel passato di Ernaux, ci sono dunque tante ferite, interiorizzate e mai dimenticate, assieme alla volontà di restare sempre moralmente solidale con gli ultimi. Una volta chiamata a insegnare nella regione parigina, la scrittrice ha non a caso optato per Cergy, una delle nuove città di banlieue edificate di sana pianta nel dopoguerra per cercare di diluire lo strapotere della capitale sulle periferie: una sorta di utopia urbana ancor oggi satura di speranze e contraddizioni. Nel marzo 2020, in piena crisi pandemica, Ernaux aveva letto una filippica ai microfoni della principale radio pubblica, France Inter, accusando il presidente Emmanuel Macron d’avere promosso un depotenziamento dei servizi pubblici, non solo in campo sanitario.

Andando a ritroso, anche il periodo turbolento segnato dalle furiose proteste dei gilet gialli l’aveva vista in prima linea, moralmente al fianco dei rivoltosi: «I gilet gialli siamo noi», recitava l’appello sottoscritto dalla scrittrice, assieme a numerosi altri esponenti della cultura e dello spettacolo: «Utilizziamo il nostro potere, quello delle parole, dell’espressione orale, della musica, dell’immagine, del pensiero, dell’arte, per inventare un nuovo scenario e sostenere quelle e quelli che lottano in strada e sui rondò da mesi. Niente è già scritto. Immaginiamo un mondo migliore». Anche durante un’altra tragica congiuntura ancora nella memoria di tutti, l’autunno 2015 delle stragi jihadiste a Parigi, Ernaux si era unita a un coro d’intellettuali controcorrente, in quel caso per difendere il diritto di manifestare durante lo stato d’emergenza decretato dai poteri pubblici: «Ecco ciò che Daesh e altri vogliono vietare. Ecco ciò che noi difendiamo. Noi dichiariamo che manifesteremo durante lo stato d’emergenza ».

Ancora una volta, conviene sottolineare, non un’astratta presa di posizione filosofica, ma un atto di sostegno verso dei militanti in carne e ossa, che erano stati segnalati alla giustizia per un corteo a favore dei migranti. Definita oggi dalla gauche transalpina come un’“icona femminista”, anche per le sue opere che hanno affrontato il tema dell’aborto, Ernaux ha al contempo sempre sottolineato il dramma intimo che una simile scelta estrema rappresenta, smarcandosi così nettamente, in nome della verità e del proprio doloroso vissuto personale (ripreso nel romanzo L’evento da cui è stato tratto il film La scelta di Anne di Audrey Diwan), da quelle voci anche politiche che in Francia continuano a dipingere l’aborto astrattamente solo come una “conquista civile” e un “diritto umano”, pur ribadendo anche ieri che per lei si tratta di «un diritto fondamentale, la matrice della libertà delle donne».

Erede autoproclamata in campo letterario della visione sociale antagonistica di Bourdieu, Ernaux ha insomma sempre cercato di dare alle proprie proteste il sapore di un impegno collettivo, in nome degli esclusi. In questa chiave, ieri, anche la reazione di monsignor Pascal Wintzer, vescovo di Poitiers, sulla “Croix”: «I suoi libri sono sempre attenti alle “piccole persone”, non per impietosire, ma nell’impegno politico e nella denuncia delle strutture e delle persone che perpetuano la condizione d’inferiorità di ciascuno». ©

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