martedì 3 dicembre 2024
Nel 2008 commosse il mondo partecipando, a 17 anni, alle Olimpiadi di Pechino Arrivò ultima, ma con il tifo di tutto il mondo. Poi il suo sogno si infranse nelle acque del Mediterraneo
Un scena del film “Non dirmi che hai paura” diretto dalla regista tedesca Yasemin Samdereli

Un scena del film “Non dirmi che hai paura” diretto dalla regista tedesca Yasemin Samdereli - -

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Nell’estate del 2008 una esile ragazzina somala di 17 anni sfida le atlete più forti del mondo sui 200 metri alle Olimpiadi di Pechino. Il cuore le batte forte, sinora si è allenata come poteva di nascosto dalle milizie islamiche che dominano il suo Paese, e pur essendo l’atleta più veloce della Somalia Samia Yusuf Omar arriverà ultima, ma con tutto il pubblico dello stadio e del mondo pronto a tifare per il suo coraggio. Il suo sogno di disputare anche le Olimpiadi di Londra del 2012 annegherà con lei 21enne nel Mediterraneo nel tentativo di raggiungere su un barcone il nostro Paese in fuga dalla Somalia soffocata dal fondamentalismo. La sua storia diventa oggi un film commovente e pieno di vitalità. Non dirmi che hai paura diretto dalla regista tedesca Yasemin Samdereli, in collaborazione con Deka Mohamed Osman, uscirà nelle sale italiane il 5 dicembre. Il film è una coproduzione internazionale capitanata dall’italiana Indyca, tratta dall'omonimo bestseller internazionale di Giuseppe Catozzella (edito in Italia da Feltrinelli), Non dirmi che hai paura al Tribeca Film Festival si è aggiudicato il Premio Speciale della Giuria. Al Munchen Filmfest ha vinto il premio internazionale del pubblico e di recente ha commosso il pubblico della 25ma edizione del Festival del Cinema Europeo di Lecce dove abbiamo intervistato la regista. « Non dirmi che hai paura è stato il mio progetto del cuore per più di sei anni. Per nessun progetto ho lottato così tanto e così a lungo – ci racconta Samdereli -. La storia è tratta dal romanzo di Giuseppe Catozzella, che è venuto a conoscenza del destino di questa straordinaria donna somala attraverso un articolo di giornale e poi, dopo molte ricerche e dopo lunghe conversazioni con la sorella di Samia, Hodan, ha scritto il romanzo. Samia Yusuf Omar proveniva da un ambiente poverissimo ed è riuscita a partecipare ai Giochi Olimpici di Pechino. Samia non si è lasciata fermare dai divieti e dalle rappresaglie misogine degli islamisti, che non vogliono nemmeno concedere a una donna il diritto di fare sport». La pellicola è una avvincente avventura che procede per flashback alternando il terribile viaggio della speranza di Samia verso l’Europa, i ricordi d’infanzia e i momenti indimenticabili dell’Olimpiade di Pechino. Vediamo quindi la piccola Samia che ha solo nove anni quando scopre il suo talento: è una velocista nata, in grado di battere maschi e femmine. Con l'aiuto del suo migliore amico Ali (9 anni) si trasforma in un vero obiettivo: diventare una runner e gareggiare un giorno alle Olimpiadi. Samia ad appena dieci anni, vince la corsa cittadina di Mogadiscio. Ma con l'avanzare della guerra civile, i fondamentalisti prendono sempre più potere proibendo musica, film, biblioteche, abiti colorati, tagli di capelli. Dopo la morte del padre di Samia ormai adolescente (la convincente Ilham Mohamed Osman) a causa dell'esplosione di un'autobomba, la ragazza non si arrende, si allena ancora di più seppur costretta a portare il velo, vince tutte le gare e diventa davvero la donna più veloce della Somalia. Quindi il Comitato Olimpico le chiede di rappresentare la Somalia alle Olimpiadi di Pechino, a soli 17 anni. Lì, anche se arriva ultima, conquista il cuore degli spettatori e della stampa internazionale. Samia diventa un'icona e molte donne in tutto il mondo seguono il suo esempio e si dedicano alla corsa. Ma al ritorno in Somalia deve affrontare gli islamisti di Al-Shabaab. Quando uccidono il ministro somalo dello Sport, Samia decide di fuggire verso l'Europa, dove spera di poter gareggiare ai Giochi Olimpici di Londra del 2012. Un viaggio lungo quasi due anni a rischio della vita nel Sahara, imprigionata in Sudan per mesi, ripetutamente truffata e trattenuta dai trafficanti che ricattano la famiglia. Raggiunta finalmente Tripoli, il 30 marzo 2012 sale su un’imbarcazione carica di migranti e conosce il tragico destino di troppi rifugiati. «Dietro ogni persona c’è la sua umanità: è bizzarro che dobbiamo ricordare che i migranti non sono un problema ma esseri umani, che ognuno ha una storia e ragioni per scappare dalle proprie nazioni» prosegue la regista. «La gente prima chiude i cuori e poi i confini, il populismo cerca nemici, finge che gli altri siano il problema» aggiunge la Samdereli che si dice «ispirata dalla forza di Samia e delle donne dell’Africa che reagiscono. Lei è un bellissimo esempio: aveva un sogno, poteva diventare una professionista, portare un miglioramenti nella sua vita. La gente non capisce quanto fortunati e privilegiati siamo noi». La sua presenza alle Olimpiadi del 2008 fu una presa di coscienza collettiva mondiale, nel vedere una ragazza che non aveva nient’altro se non le sue scarpe da corsa «correre i 200 metri contro donne muscolose perché ben nutrite, che avevano tutto, mentre lei era così magra, allenata come poteva. Lei divennne un simbolo del riscatto delle donne africane ». Nei titoli di coda vediamo le immagini originali di quell’Olimpiade piena di speranze per Samia e la sua famiglia e ci si stringe il cuore. All’epoca non esisteva alcuna particolare protezione per gli atleti da parte del Comitato Olimpico così la giovane atleta dovette ritornare a casa sua. «Da allora il Comitato Olimpico ha fatto molto per migliorare, ha assunto le sue responsabilità, ed ha creato anche la squadra dei rifugiati. Anche se resta ancora molto da fare» aggiunge la regista sottolineando come in Somalia «una brutale minoranza di islamisti imponeva alle donne come vestirsi, come camminare, di non correre o fare sport». Nel film appaiono anche autentici rifugiati come l’attrice Kaltuma Mohamed Abdi che intepreta Miriam la compagna di viaggio di Samia: «Kaltuma è una persona eccezionale: ora vive a Roma, è stata in una prigione libica e il suo viaggio verso l’Italia è durato due anni. Abbiamo parlato con molte persone, la realtà è molto più brutale di come la abbiamo mostrata». Appare anche una vedetta italiana sul drammatico finale. «Sono cosi grata all’Italia che sta affontando una sfida difficile- conclude a Samdereli , mentre è la Comunità europea che non fa abbastanza, perché i rifugiati dovrebbero essere distribuiti equamente».

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