Donne al lavoro in una miniatura medievale - archivio
Come scoprire il ruolo delle donne nel Medioevo? Le vie sono tante, e i tempi recenti hanno visto molti approcci alla storia di genere. Eppure, questa categoria starebbe stretta a un libro intelligente e acuto come quello proposto di recente da Janina Ramirez. Per comprenderlo, bisogna forse non farsi ingannare dal titolo – Femina. Storia del Medioevo attraverso le donne che sono state cancellate (il Saggiatore, pagine 487, euro 35) – che farebbe pensare a un testo battagliero e militante. Il volume di Ramirez, ben inteso, lo è; ma la delicatezza del tocco usato dall’autrice rende il volume, oltre che godibile, poco “ideologico”.
Le motivazioni esposte in apertura danno la nota generale. «Questo libro non vuole difendere nessuno», si legge. Nessuno da difendere, prosegue, perché, in effetti, non c’è nessun imputato. Richiamare l’attenzione sul ruolo femminile nelle vicende storiche non significa negare qualcosa o affermare un primato al posto di un altro, ma ricondurre a una situazione di normalità, spesso distorta da riflettori puntati esclusivamente (o prioritariamente) su protagonisti maschili. Le donne, sotto questo profilo, non sono che un esempio di come la storia, al pari della società, debba riappropriarsi (e dunque rappresentare) la complessità: ci sono «moltissimi periodi, gruppi e individui dimenticati che possono arricchire il nostro rapporto con il passato», afferma Ramirez.
Ma veniamo al merito di un testo che su questa complessità intende lavorare dall’angolo prospettico femminile. L’introduzione merita un’attenzione particolare, poiché, si direbbe, più che un avvio alla lettura è un manifesto programmatico. Con un incipit fulminante, che ricorda i fatti del derby di Epsom del 4 giugno 1913: Emily Wilding Davison si butta verso il cavallo del re indossando una fascia con il motto: Votes for women. I giornali riferiranno che il gesto era quello di una pazza, ma nessuno menzionerà che essa era anche una medievista.
Il libro di Ramirez, a sua volta esperta di Medioevo, è dedicato a questa donna e al suo gesto. Interessante, e per certi aspetti singolare, è la sottolineatura offerta dall’autrice che consente di recuperare il senso del lavoro storico come ponte tra passato e presente: Davison lottò per i diritti delle donne del Novecento ispirandosi a grandi e spesso sottaciute, sconosciute o sottovalutate personalità femminili. E come molte altre sue colleghe lo fece riprendendo la dimensione spirituale e religiosa che le animò.
Ecco allora, per fare un esempio notissimo, che Giovanna d’Arco è recuperata nel suo richiamo, femminile e appassionato, alla trascendenza di Dio, che si serve di una donna, in un mondo di maschi, per realizzare il suo piano salvifico. È una scelta che, di fatto, tiene conto di un recupero di complessità, come si diceva, finalizzato a «un nuovo rapporto più inclusivo con il passato». Le donne e le loro voci diventano così non un oggetto, ma un metodo: un’istanza di recupero di vicende zittite e poco note (non solo femminili), che gli storici sono chiamati a disseppellire. Il racconto che segue si articola attraverso una galleria di donne che, lungo il Medioevo, si insinuarono nell’universo maschile.
Ramirez le suddivide per tipologie sui generis: trascinatrici, donne che decidono, guerriere, artiste, scienziate, spie, criminali, re ( sic!), imprenditrici e donne fuori dal comune (eccezionali e reiette). Come si può vedere, si tratta di un Medioevo a tutto tondo, un viaggio di riappropriazione in cui le figure femminili non sono che fili di un ordito più ampio. Il volume è infine arricchito da molte altre vicende che restituiscono la dimensione materiale e la vita quotidiana dell’età di mezzo: uno sforzo, vale la pena ribadirlo, che consente di toccare con mano un tessuto di relazioni e di sguardi su cui molto resta da fare.