Testa di Atena Lemnia, copia di età augustea - Bologna, Museo Civico Archeologico
Come si fa a mettere in mostra un mito come Fidia? Be’, si dirà: anche Raffaello, Michelangelo o Leonardo sono una sorta di miti, eppure di esposizioni se ne sono fatte a iosa e, per fortuna, se ne continuano a fare. Già, ma Fidia è un’altra cosa. Come per Apelle, il più celebre pittore dell’antichità, quasi non se ne conosce l’aspetto (ma, a differenza di quest’ultimo, le opere sì!), mentre dei tre grandi del Rinascimento, oltre ai capolavori, ci sono giunti ritratti e perfino autoritratti. Di Fidia, no: nulla o quasi. Per questo la sua figura sconfina nella leggenda. Come per Dedalo cui – soltanto di recente – è stata riconosciuta pure la dimensione di personaggio storico (grazie al ritrovamento di un’iscrizione) così – al contrario –, per Fidia, quella di verità storica si confonde con la sua leggenda.
Ecco perché, quando s’inizia a percorrere l’itinerario espositivo nelle sal di Villa Caffarelli, nei Musei Capitolini a Roma (fino al 5 maggio), si resta quasi senza parole alla vista dei suoi presunti ritratti. Non tanto quello della Gliptoteca di Copenaghen costituito dalla testa marmorea di un uomo calvo e attempato, con barba e baffi che lascia trasparire una forte personalità, quanto la statuetta di bronzo del Metropolitan di New York (che già da sola vale la visita alla mostra) la quale rivela una fisicità dimessa, con l’epa prominente e un atteggiamento remissivo, svelato dalla testa reclinata e dalle braccia conserte, a giudicare dalla unica rimasta ancora appoggiata sul ventre. Allora il contrasto è patente fra quest’omino quasi insignificante e il trionfo di bellezza che il grande scultore e architetto ha prodotto nel mondo, affascinandolo per i secoli giunti fino a noi. Ad esserne in qualche maniera consapevole pare esserlo un altro reperto straordinario esposto in mostra: la brocchetta prestata dal Museo Archeologico di Olimpia che, sul fondo, come se potesse parlare, con orgoglio, reca l’iscrizione «Pheidio[u] eimì»: «Io sono di Fidia». Il che vuol dire che il mito di questo straordinario artista nacque praticamente con lui. Per questo l’esposizione s’intitola soltanto (si fa per dire) “Fidia”, senza specifiche o sotto titoli, perché quel nome è una garanzia di bellezza.
Divisa in sei sezioni, la mostra, dopo aver raccolto quanto più possibile sul vero aspetto dell’artista, dedica la tappa successiva all’età d’oro della Grecia classica della quale Fidia è stato assoluto protagonista insieme ad atri grandi come Temistocle e Pericle, politici e condottieri di cui sono presenti busti marmorei insieme a quello di Aspasia, una delle donne più belle e affascinanti dell’antichità. Un periodo solare, segnato dall’armonia e della bellezza, come sembrano dimostrare le presenze apollinee dagli stessi Musei Capitolini (la grande statua della collezione Albani) e le teste di tipo Kassel dal Museo Barracco e dalla Centrale Montemartini di Roma. La terza sezione si apre al raccon to dell’opera più celebre dell’artista: il Partenone. La documentazione esposta è quanto di più completo si possa immaginare, da un raro disegno di Ciriaco d’Ancona – l’archeologo ante litteram che già nel XVI secolo seguiva criteri filologici nello studio dell’antico –, ai rendiconti di spesa per realizzare la gigantesca statua crisoelefantina (in oro e avorio) di Atena Parthenos (da cui la denominazione stessa del tempio), incisi su un frammento di marmo pentelico proveniente dal Museo dell’Acropoli di Atene (inv. EM 637), fino all’immancabile plastico in scala 1:33 realizzato dal modellista Francesco Romoli che dà un’idea precisa dell’opera integra (ossia prima della devastante esplosione del 1687) e dell’esatta collocazione della monumentale statua della dea. Inoltre, calchi in gesso delle statue del frontone e, soprattutto, frammenti originali di marmo provenienti dal fregio nord e sud del Partenone. Completano la sezione le riproduzioni antiche dell’Atena Parthenos che testimoniano della fortuna della statua di Fidia fino in epoca tarda, come sta a dimostrare la statua alta più di un metro e settanta del II secolo d.C. giunta in prestito dal Museo Archeologico Nazionale di Civitavecchia. Né si può dimenticare la rara presenza della riproduzione tarda (III sec. d.C.) dello scudo di Atena detto di Strangford (dal nome del primo proprietario) generosamente prestato dal British Museum.
La quarta tappa del percorso riguarda Fidia fuori dalla sua città natale, ossia Atene. La fama dello scultore si espanse e le committenze si moltiplicarono, ma non sempre furono successi, come nel celebre concorso di Efeso bandito verso il 435 a.C. per la realizzazione della Amazzone ferita. Per questo, in mostra è stato allestito un podio con figure di Amazzoni a tutto tondo, con busti e teste a diverse altezze per evocare le diverse proposte firmate da scultori come Policleto (vincitore), Kresilas, Kidon e Phradmon. Probabilmente Fidia realizzò quella che oggi gli archeologi chiamano Amazzone di tipo Mattei che si appoggia alla lancia passando il braccio al di sopra della testa, in una posa piuttosto innaturale e, forse, per questo, non vinse. Si aggiudicò invece la gara quella di Tipo Sosikles (appoggiata con la testa alla lancia, tenuta ferma a terra con la mano che a sua volta sorregge la testa), ma non c’è la certezza delle paternità artistiche.
Il capolavoro di Fidia, però, fu la statua di Zeus nel tempio di Olimpia a cui Pausania dedica l’intero capitolo undici della sua Descriptio Greciae, considerandola una delle sette meraviglie del mondo. Realizzato in avorio, oro, metalli e pietre preziose, il colossale simulacro del padre degli dèi, nonostante le minuziose descrizioni pervenute fino a noi, non venne riprodotto in statue di più piccole dimensioni, come per l’Atena Parthenos. Per questo ci si è affidati al plastico del Louvre e al suggestivo disegno di Quatremère de Quincy.
Corredata da un bel catalogo edito da «L’Erma» di Bretschneider, la mostra – curata da Claudio Parisi Presicce –, si conclude con altre due sezioni: L’eredità di Fidia e Fidia oltre il mondo antico che offrono la dimensione universale dell’artista per antonomasia.