venerdì 11 ottobre 2024
I formati digitali non hanno scalzato la carta: se vogliamo apprendere davvero non possiamo fare a meno del corpo. Per questo abbiamo bisogno di un’alfabetizzazione plurale e su piani diversi
Leggere un e-book

Leggere un e-book - Roman Skrypnyk / Unsplash

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Qualcuno deve aver parlato di me all’algoritmo dei social, perché di recente mi compare spesso la pubblicità di un accessorio abbastanza curioso. Agganciato a un Kindle o a un qualsiasi altro e-reader, permette di impugnare l’apparecchio con la dovuta comodità. Niente più dita anchilosate, niente più fitte al polso, niente più rischi che il dispositivo scivoli di mano graffiandosi o guastandosi. L’inserzione è illuminante per più di un motivo. Il primo riguarda l’ossessione contemporanea per la riduzione dello sforzo. È come se un’unica entità di imperscrutabile benevolenza si preoccupasse di non farmi affaticare mai, in nessuna occasione, suggerendomi di volta in volta il supporto più elegante per tablet e affini, il confortevole allenamento dello yoga sulla sedia o la vertiginosa opportunità di dilapidare con un clic i risparmi di una vita. Tutto si può e – in fondo – si deve fare, purché sia facile e divertente.
La seconda ragione discende dalla prima. Perché mai, così all’improvviso, anche gli e-book hanno bisogno di risultare meno ingombranti di quanto ce li fossimo immaginati? Anzi, di come ci erano stati presentati una quindicina di anni fa o giù di lì, quando il declino della carta stampata sembrava ineluttabile e la comodità (sì, ancora e sempre la comodità) era considerata il principale vettore per la definitiva transizione del libro verso il digitale. Biblioteche intere racchiuse in una tavoletta, dizionari integrati, possibilità di acquistare sempre e dovunque i titoli preferiti: che altro si potrebbe desiderare per leggere senza problemi? Tutti quegli e-book gratuiti, ne vogliamo parlare? E le offerte a cifre stracciate, e il prezzo di copertina più che dimezzato rispetto alla versione cartacea?
Tutto vero, tutto confermato dal rapido balzo in avanti compiuto dall’e-book nei primi tempi della sua diffusione. Diffusione che tra l’altro continua, in maniera costante benché ormai inavvertita. Secondo i dati elaborati dall’Associazione italiana editori, nel nostro Paese la percentuale di persone che si accostano al libro in formato esclusivamente digitale (definizione, questa, che comprende anche gli audiolibri) è passata dal 5% del 2019 al 15% dello scorso anno. Non è solo l’effetto delle nuove abitudini favorite dal lockdown, ma una tendenza generalizzata, che il più delle volte va nella direzione di una consuetudine di lettura ibrida. Negli Stati Uniti, per esempio, gli intransigenti digitali rappresentano il 9%. In compenso, la percentuale di chi alterna cartaceo e digitale è salita al 33%, superando – sia pure di appena un punto – quella di coloro che si mantengono ostinatamente fedeli alla stampa tradizionale. Anche in Italia, del resto, l’eclettismo è praticato dal 39% dei lettori, a conferma di quella che potremmo qualificare come la smaterializzazione imperfetta del libro nel XXI secolo.
Questo, in definitiva, è il segreto portato alla luce dalla famosa pubblicità che un po’ mi assilla e un po’ – devo ammetterlo – mi rassicura. Il fatto che perfino un e-reader finisca per risultare scomodo è il segno che l’atto di leggere non potrà mai affrancarsi del tutto dalla sua componente fisica. Gli studi della neuroscienziata Maryanne Wolf (Proust e il calamaro e Lettore, vieni a casa, editi da Vita e Pensiero nel 2012 e nel 2018) hanno ampiamente dimostrato come la dimensione corporea rivesta un ruolo ineliminabile nell’acquisire le capacità tipiche della cosiddetta «lettura profonda», che rappresenta la base dell’attuale processo di «bialfabetizzazione»: si impara a leggere sulla carta per meglio apprezzare le caratteristiche proprie del digitale, che di per sé spingerebbe a una fruizione del testo in maniera superficiale e cursoria.
Non si tratta dell’ennesimo compromesso. Una parte considerevole del sapere, a partire da molti strumenti di consultazione, ha da tempo trovato la sua sede più appropriata nell’online ed è esperienza comune che per la ricerca di una singola parola o ricorrenza il pdf sia preferibile al libro cartaceo. Praticare la lettura in tutte le sue modalità non è più un vezzo riservato ai professionisti, e questo è sorprendente. Ci eravamo persuasi, sulla scorta di un citatissimo capitolo di Notre Dame de Paris, che ceci tuera cela, e cioè che il vecchio distruggerà il nuovo (Victor Hugo si riferiva alla contrapposizione tra le cattedrali medievali e la stampa, noi pensavamo a quest’ultima sopraffatta dal digitale) e invece ci accorgiamo che la convivenza è utile e possibile. Certo, contrariamente ai pronostici il libro digitale non ha vinto, e tanto meno stravinto. Si è semplicemente limitato a diventare indispensabile.

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