Domenicani.it
Quali sono le reali differenze tra un gesuita, un domenicano e un benedettino? E ancora quali sono gli ordini religiosi che hanno più inciso nella storia della Chiesa universale? Perché, in fondo, la vita di un monaco – seppur così lontana da un religioso ignaziano o da un frate predicatore – si prefigge lo stesso scopo: la salvezza delle anime ( salus animarum)? Sono alcuni dei tanti interrogativi a cui cerca di rispondere in modo originale il saggio Domenicani (Edizioni studio domenicano, pagine 352, euro 20,00) scritto da frati predicatori Guy Thomas Bedouelle e Alain Quilici. Il libro è tradotto dal francese ad opera di un domenicano italiano, Alberto Casella. Si tratta di una voluminosa pubblicazione che può rappresentare una buona guida alla luce di due importanti anniversari che in questo 2021, ancora lambito dalla pandemia, stanno vivendo proprio i gesuiti e i domenicani, due ordini religiosi entrambi fondati da due sacerdoti spagnoli: gli ottocento anni della morte di san Domenico di Guzmán (1221-2021) che ricorrono il prossimo 6 agosto e i 500 anni dalla conversione di sant’Ignazio di Loyola (1521-2021), dopo la ferita di Pamplona e la consegna della sua spada – guarda caso, nel monastero benedettino di Monserrat – per divenire un autentico seguace di Cristo.
Due anniversari che sono stati recentemente ricordati con due messaggi distinti da papa Francesco, il primo Pontefice gesuita della storia, indirizzati rispettivamente a queste due importanti famiglie religiose. Come certamente significativo è stato l’intervento dell’attuale maestro dell’Ordine dei predicatori, Gerard Francisco Timoner, nella sua lettera di ringraziamento a papa Bergoglio in cui ha voluto accennare a un particolare: «Mentre lo ringraziamo per la sua paterna sollecitudine e vicinanza fraterna all’ordine, desideriamo manifestargli il nostro affetto in occasione del quinto centenario della conversione di sant’Ignazio di Loyola che ricorre in questo 2021. Desideriamo, altresì, allargare il nostro saluto anche a tutti i fratelli della Compagnia di Gesù. È noto come un momento significativo di quel momento di grazia della conversione fu quando si pose la famosa domanda che gli cambiò la vita: “E se anch’io facessi quel che ha fatto san Francesco o san Domenico?”. Infatti, è meraviglioso che in questa provvidenziale coincidenza di giubilei, un confratello di Ignazio, il primo Papa che ha scelto il nome di Francesco, scriva una lettera alla famiglia di Domenico!».
Il volume redatto da Bedouelle e Quilici racconta in controluce le differenze, ma anche fa emergere i punti di incontro (basti pensare alla Ratio studiorum a cui fece spesso riferimento lo stesso Ignazio nelle redazione delle Costituzioni, dopo essere stato allievo a Parigi dei domenicani), tra i due ordini. Ma non solo. Uno dei meriti di questa pubblicazione – quasi in una sinossi con la Regola di san Benedetto – è far affiorare le differenze di approccio apostolico dei gesuiti più “monarchici” e “militari” nello stile di obbedienza ai superiori rispetto ai più “democratici” domenicani.
I due autori sposano la tesi singolare, attribuita al cardinale e oggi santo e per di più oratoriano John Henry Newman, che tra tutti gli ordini religiosi quelli che hanno più innovato in modo geniale la vita della Chiesa siano stati i benedettini, i domenicani e infine i gesuiti. «Mi sia permesso di attribuire a san Benedetto – scrive Newman - come segno distintivo la poesia; a san Domenico la scienza; a sant’Ignazio il senso pratico».
Da queste pagine emerge prepotentemente, come direbbe il grande teologo domenicano Yves Marie Congar, l’“ermeneutica delle differenze” tra chi sceglie il modello di vita religiosa impressa dal basco Ignazio di Loyola rispetto a quella del castigliano Domenico di Caleruega.
Degno di considerazione, soprattutto per il suo lavoro certosino e molto divulgativo, è anche il saggio scritto dal domenicano Angelo Ottaviano Piagno Il convento patriarcale di San Domenico. Storia e miracoli (Edizioni studio domenicano, pagine 220 , euro 15,00). La ricerca, pensata sempre per gli 800 anni della morte di san Domenico, racconta l’incidenza culturale e non solo (basti pensare all’Inquisizione) che il santo spagnolo, morto proprio a Bologna nel 1221, ebbe attraverso i suoi frati sulla vita di quella città. Il pregio del volume è quello di descrivere la vita plurisecolare del convento bolognese (1219-2019) tra luci e ombre, soppressioni napoleoniche e sabaude, senza mai dimenticare di quanto Bologna – la dotta e culla di ogni università – debba in fondo qualcosa proprio nel campo dello studio e della ricerca ai domenicani, Domini canes: «i cani del Signore».