Il filosofo Paul Ricouer - snl.no/Av AP/Juerg Mueller/Scanpix/CC PDM 1.0
«Tornare alle cose stesse»: riscoprire, cioè, la loro essenza metafisica e nascosta, dopo la crisi dello scientismo positivista ottocentesco (che aveva letto la realtà in termini esclusivamente matematici), è stato il compito, ai primi del Novecento, di quella parte finale della filosofia moderna che va sotto il nome di fenomenologia.
Eppure, la fenomenologia necessitava, verso la metà del secolo, di essere a sua volta superata: almeno a giudizio del filosofo francese Paul Ricoeur, il quale riteneva che essa, nonostante il lodevole sforzo conoscitivo volto a “ritentar l’essenza” smarrita a partire da Galilei, peccasse, soprattutto nel momento antropologico, di un eccesso di scienza che la portava a leggere l’uomo in termini ancora troppo moderni. L’unico modo per uscire dall’impasse era, quindi, quello di reinterpretare l’uomo della fenomenologia rimettendo in campo la branca della filosofia finalizzata a compiere il lavoro interpretativo, l’ermeneutica.
Ricoeur, nato a Valence in Francia nel 1913, si era formato, negli anni Trenta, a contatto col cattolicesimo francese della rivista “Esprit” e delle riunioni parigine del venerdì a casa di Gabriel Marcel (frequentate anche da personaggi del calibro di Merleau-Ponty, Levinas, Pareyson, Berdjaev, Landsberg e Sartre) e, a partire da allora, aveva rivolto la sua critica al fondatore stesso della fenomenologia, Edmund Husserl. Iniziando a tradurre le husserliane Ideen, Ricoeur aveva infatti inaugurato il percorso che lo avrebbe portato a diventare uno degli esponenti principali dell’ermeneutica contemporanea e della svolta antropologica della filosofia del Novecento: prigioniero in Pomerania durante la Seconda Guerra Mondiale, insegnò all’Università di Strasburgo dal 1948, alla Sorbona dal 1956 al 1967, e infine a Lovanio e a Nanterre (Paris-X) negli anni Settanta.
Il cammino ricoeuriano dalla fenomenologia all’ermeneutica viene adesso riproposto, nelle sue linee essenziali, da Jaca Book – l’editore italiano delle sue opere a partire dagli anni Settanta – in Paul Ricoeur, Ermeneutica (pagine 340, euro 26,00, a cura di Vinicio Busacchi). Una nuova edizione italiana, contenente però (oltre al lungo saggio del 1977 Ermeneutica dell’idea di Rivelazione, inedito nella nostra lingua, del quale pubblichiamo sotto un estratto) anche inediti in francese, dei quali esisteva, fino ad oggi, soltanto il manoscritto originale rivisto dall’autore presso il Fonds Ricoeur di Parigi.
L’uomo andava, a giudizio di Ricoeur, (re)interpretato, in quanto non poteva essere conosciuto in maniera diretta (come invece si era pensato nel filone razionalista della filosofia moderna da Cartesio a Husserl), ma «soltanto attraverso i segni depositati nella sua memoria e nel suo immaginario dalle grandi culture».
Ognuno di noi, in altre parole, si conosce attraverso ciò che è altro da sé, cioè innanzitutto attraverso il mondo che costituisce quindi l’oggetto di quel «ricordarsi per incominciare» dal quale nasce anche la filosofia. Il mondo, poi, in quanto altro dalla coscienza, produce in ogni uomo anche un sentimento di estraneità e di esilio che ci accomuna in quanto “stranieri” e che costituisce quindi la condizione indispensabile per l’ospitalità; infine, in quanto luogo dove mi conosco, il mondo non è il totalmente altro da me stesso e quindi non deve produrre il culto dell’erranza, al cui interno l’uomo vaga senza più radici né appartenenza. Si tratta invece di riscoprire un mondo nel quale, proprio in quanto luogo “altro” dalla coscienza, accadono sia l’ospitalità, sia «la tradizione vivente della comunità storica», base per la costruzione delle diverse identità, ognuna con una propria visione del bene e chiamate a convivere senza che nessuna di esse debba rinunciare a sé stessa.
Fu quindi attraverso la riscoperta dell’esistenza come dimensione peculiare dell’umano, oltre alla ripresa della psicoanalisi (il Saggio su Freud del 1965), che il filosofo di Valence portava a termine questa vasta operazione filosofica (da lui definita «militante») di revisione critica dell’immagine moderna dell’uomo: avvicinandosi, grazie alla lettura di Verità e metodo di Hans Georg Gadamer (1960) e alla concomitante scoperta dei temi kantiani del male, della finitezza e della colpa, all’esistenzialismo di Jaspers e di Heidegger, tematiche confluite prima in Finitudine e colpa (1960), dove non le idee, ma «il simbolo dà a pensare», e poi in Il conflitto delle interpretazioni (1969), La metafora viva (1975), Dal testo all’azione (1986), Sé come un altro (1990) e La memoria, la storia e l’oblio (2000).
Paul Ricoeur moriva nella sua casa di Châtenay-Malabry, alle porte di Parigi, il 20 maggio 2005.