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«Non mi piace chi non dorme, dice Dio. (…) Il sonno è forse la mia più bella creatura. (…) Applaudo me stesso d’aver fatto la notte!». Così, con poetica imprudenza, Charles Peguy, ne La seconda virtù, mette in bocca a Dio un giudizio perentorio sull’insonne, e la soddisfazione d’aver creato la notte. Certo, per chi crede, sonno e notte c’entrano con Dio -– eccome! – visto che la notte è, col giorno, la sua prima creatura e il Creatore è il primo ad aver riposato. Ma questo interesse divino per sonno e notte è ultimamente condiviso da pensatori al confine della fede ebraico-cristiana, o al di là del confine.
Tra questi spiccano il filosofo francese Jean-Luc Nancy e il critico d’arte americano Jonathan Crary. Stando al primo, si addormenta chi rinuncia alla vigilanza, all’attenzione e all’intenzione, a tensioni e attese, a progetti e obbiettivi, ad anticipazioni e calcoli. Si tratta infatti di una «caduta di tensione», di distensione, appunto, fino a sentirsi cadere, cadere nel sonno. Non per nulla egli titola il suo acuto libretto Cascare dal sonno, poiché chi si addormenta è a tal punto vinto dal sonno da perdere il controllo delle proprie forze. Chi dorme chiude gli occhi al giorno e alle sue precise distinzioni, per aprirli alla notte, alle paure che smuove, ma anche all’opportunità di una visione diversa di sé e del mondo. La notte insegna la logica dei sogni che, pur non essendo razionali, non sono irragionevoli, giacché funzionano con una logica diversa, non analitica, ma sintetica, fatta di mescolanze, sovrapposizioni, rinvii e richiami, dove può offrirsi una soluzione che razionalmente era inimmaginabile. E poi, non ci si addormenta da sé; a volte, pur desiderato, il sonno non arriva, ovvero si impone nonostante ogni tentativo di resistenza, facendo «cascare dal sonno».
Il sonno viene da fuori, da altro. È più forte di noi. Benefico, ingovernabile, irresistibile, capace di aprire una visuale impossibile e diversa, il sonno prescrive un’esperienza di trascendenza nella feriale normalità di ogni umano. Anche per questo si alza la critica severa di Nancy contro ogni tentativo di occupare la notte da parte dei sistemi di produzione: si violenta la prima madre e la sposa del sonno. Più organica e affilata è la valutazione di Crary nei riguardi della società odierna, plasmata da antiche e nuove forme di capitalismo, come argomenta in 24/7. Il capitalismo all’assalto del sonno. Già una trentina d’anni fa, Wolfgang Schivelbusch, nella sua storia delle tecniche di illuminazione, ricordava che la diffusione dei lampioni stradali (a partire dal 1880) aveva permesso l’attenuazione dell’ancestrale paura della notte e con essa l’ampliamento dell’arco temporale di molte attività economiche, riprogettando il pianeta come un cantiere in perenne attività e un supermarket sempre aperto. La connessione continua recentemente permessa dal web, ha reso ancor più facili produzione, offerta e domanda 24 ore su 24 e 7 giorni su 7. Con una precisazione importante: il mercato non si è dotato di modalità 24/24 e 7/7 per favorire la società, ma al contrario tende a dare una forma 24/24–7/7 alla società affinché sia all’altezza di tale mercato. Sicché s’inquadra la vita umana in una durata senza interruzioni, contraddistinta dall’incessante operatività nella produzione, nell’offerta e nella domanda. Si tratta di «un presente allucinato, un’inalterabile permanenza» dove non esiste alcun momento, luogo o situazione in cui sia impossibile produrre, fare acquisti, consumare o sfruttare le opportunità del web. Senz’altro non l’unico, ma certamente questo è un motivo decisivo per spiegare la recente crescita di patologie del sonno e la decrescita del tempo medio dedicato a esso.
Tuttavia, a motivo della sua ineludibilità, il sonno permane un atto di oltraggiosa resistenza degli esseri umani contro il mercato che impone un modello di vita 24/24–7/7. Grazie alla sua incoercibile resistenza il sonno è un’enclave indipendente rispetto all’ordine globale che va imponendosi. È un rifugio, una liberazione dall’incessante continuità di un tempo artificiale, sganciato dal ritmo del giorno e della notte, del lavoro e del riposo. Inoltre, è una delle pochissime esperienze rimaste in cui, volenti o nolenti, consapevoli o no, ci si abbandona e ci si affida alle cure altrui.
Insomma: il sonno è uno dei custodi dell’umanità dell’uomo, e perciò un sicuro criterio di verifica circa la qualità umana di una vita e di una società. Effettivamente stupiscono la semplicità, la pertinenza e la rilevanza di queste osservazioni che colgono la portata antropologica e sociale di una realtà così ordinaria e scontata da apparire indegna di considerazione, un inevitabile intervallo tra due giorni. Eppure è proprio l’“inevitabilità” a fare del sonno un resto, una resistenza, un attrito che impedisce la delirante pretesa di totale programmazione della vita. È un cuneo di trascendenza fatto di carne e sangue. E a proposito di trascendenza: conviene ricordare che, in una situazione angosciosa e mortale, su una barca in acque burrascose, mentre i suoi discepoli gridavano terrorizzati, Cristo, profondamente, dormiva.