«È giunto il momento di uno scoppio interiore, e noi artisti dobbiamo essere il detonatore». I botti di Capodanno, Alessandro Bergonzoni, li augura alle nostre vite attanagliate dalla crisi e dal torpore. L’attore e autore è appena atterrato in Senegal per trascorrere un Capodanno alternativo. «È il mio primo volo dopo 22 anni, ero terrorizzato dall’aereo così ho fatto un corso dell’Alitalia – racconta sorridendo –. Volevo tornare nell’Africa che avevo conosciuto da ragazzo, conoscere meglio questa realtà. E, magari, raccontarla: sono pronto per cose nuove». Bergonzoni, in effetti, è uno scoppiettio di iniziative, fra recitazione, scrittura e arte. Mentre è in tour con il monologo
Urge sui nostri tempi di crisi (l’11 gennaio riparte da Ravenna, regia sua e di Riccardo Rodolfi), ha appena inaugurato una retrospettiva delle sue opere dal titolo
Maceria prima (accuse mosse) che sino al 26 febbraio sarà alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea "Armando Pizzinato" di Pordenone.
Bergonzoni, non molti sanno che lei è anche artista. C’è un legame tra il suo esprimersi a parole e attraverso la materia?L’arte è sempre un tutt’uno. È da dieci anni che mi sono dato all’arte visiva e sono orgoglioso di essere esposto ora per la prima volta in un museo. Le mie opere sono fatte con gli scarti, il ferro, il legno, la pietra, il vetro: le cose che avanzano, nel senso che restano o vanno avanti? La mostra è sul tema del cumulo, le cose hanno una memoria in quest’epoca dove siamo molto malati.
Malati di cosa? Che cosa «Urge», come dice il suo spettacolo, all’inizio del 2012?Innanzitutto in quest’epoca di malati di informazione e di divulgazione, confondiamo il conoscere e il comunicare: è raro che i media ti portino a conoscere davvero, si tratta di notizie martellanti e sminuzzate. Abbiamo il morbo della cronaca: «Ho letto, sono stato informato, quindi conosco i fatti» pensiamo. Basta un click su internet per aderire a una protesta. Ma cosa succede davvero nella nostra anima e nella nostra coscienza? Manca il mestiere dell’attenzione.
Cosa potrebbe riportarcela? Faccio un esempio: lo scandalo dello sport. Ma non abbiamo ancora imparato che è finita un’epoca sportiva, che il calcio è appestato? Oppure la cronaca degli omicidi che impazza in tv: analisi del luogo, i Ris, i dettagli macabri...ma non ci interessano i motivi profondi, la colpa, il danno. Invito ad aprire gli occhi, e noi attori possiamo aiutare con le parole, ma dobbiamo farlo in luoghi inusuali e adatti.
Tipo le carceri e gli ospedali dove lei spesso si esibisce?Io da un anno visito le carceri, presto sarò in quelli di Bologna e di Padova. Ho incontri in cui affronto la mala giustizia a partire dal libro di Luigi Manconi e Valentina Calderone <+corsivo>Quando hanno aperto la cella. Stefano Cucchi e gli altri<+tondo>. Finire dietro le sbarre è come ammalarsi, non possiamo dire che non ci riguarda. Penso anche alla Casa dei risvegli Luca de Nigris di Bologna di cui sono testimonial da dieci anni. Dobbiamo sentirci coinvolti tutti anche se il danno non ci colpisce in prima persona.
Dunque, chi si occupa di arte e di spettacolo che dovrebbe fare?L’arte si fonda sulla spiritualità e gli artisti debbono scavare in profondità. L’arte non è solo ostentazione, ma è un’operazione che ha a che fare con la trascendenza, con l’essere oltre. «Ho fatto voto di vastità» dico nello spettacolo. Dobbiamo chiedere agli autori, ai pittori, agli attori di non rinchiudere il loro lavoro in uno studio, in un teatro. Andiamo nei posti inaspettati, lo ripeto, il carcere, gli ospedali, le piazze.
Anche per incontrare i giovani?I giovani dobbiamo andare a trovarli all’asilo, ormai al liceo è già troppo tardi. Il monologo non è un’imposizione, ma deve avere un’impostazione antropologica. Occorre raccontare tanto di più, invece è il poco, il vacuo la grande bestemmia di questi tempi. Si parla tanto di cose semplici, ma a forza di leggerezza siamo finiti nel nulla. C’è bisogno di fatica per evitare grandi fatiche in futuro.
Questi sono tempi di crisi in cui la gente, però, fa fatica...La gente giustamente risponde: «Devo tirare avanti, devo mangiare, c’è la crisi». In questo momento per la politica è comodissimo invitare a pensare ad altro. Si è arrivati a questo punto perché si è solo pensato all’economia. Ma un tempo l’uomo era tutto: letterato, umanista, matematico, scienziato. Ecco, un amministratore delegato oggi deve riscoprire il suo umanesimo, non si può più andare avanti a settori. Torniamo all’uomo complesso, che non vuol dire difficile.
Lei riesce a far passare concetti "di peso" attraverso la risata. Non sempre questo accadde, specie in tv.Siamo uccisi da certa comicità televisiva. Spesso si tratta di imitazioni e parodie, facciamo il verso a noi stessi e non andiamo da nessuna parte.
Il pubblico, allora, dovrebbe prendere più coscienza?È arrivato il momento della svolta interiore. Non puoi avere visto il Dante di Benigni, e poi tornare a casa e guardare le solite trasmissioni tv. Noi dobbiamo diventare Dante. È debole applaudire i propri idoli, bisogna agire noi. Come mi diceva il mio amico scomparso Gian Piero Steccato, affetto da sindrome di Locked, ognuno deve diventare eroe di se stesso.
Alla fine, che cosa augura per il 2012?Per quel che mi riguarda, che si concretizzi la proposta di tornare in radio, mezzo importantissimo. L’augurio per tutti è: più narrazione e più ascolto, avere meno potere e più potenza. Noi siamo luce e stiamo lavorando al buio pesto. Le parole non sono nulla se non c’è il pensiero e a me interessa quello.