A chi serve un film sui poliziotti violenti? Per Stefano Sollima, regista della serie televisiva di successo
Romanzo criminale, il suo esordio al cinema
A.C.A.B. (in uscita in 300 sale dal 27 gennaio) tratto dall’omonimo romanzo del giornalista Carlo Bonini «non è un film a favore o contro dei poliziotti, ma un lavoro sull’odio che c’è nella società in cui viviamo, sull’intolleranza che proviamo tutti noi girando nelle nostre città».Il titolo si rifà ad un acronimo, nato in ambiente skinheads, senza sfumature.
All cops are bastards. Tutti i poliziotti sono bastardi. Una citazione che dà spunto «a racconti di storie realmente accadute» e che hanno come protagonisti i poliziotti del reparto Celere, in gergo celerini, quelli che in prima fila, armati di scudo, sono chiamati a gestire le situazioni più violente.Mazinga (Giallini) è il capo della Celere che ha come migliori uomini, compagni di lotta e amici, Cobra (Favino), Negro (Nigro) e Adriano (Diele), il nuovo arrivato che ha scelto la Celere perché «paga di più». Sullo sfondo le loro vite private: il difficile rapporto di Mazinga con il figlio ultrafascista, la solitudine di Cobra, conosciuto per il suo innato istinto alla violenza, Adriano alla ricerca di una soluzione dopo lo sfratto imposto a sua madre, e Negro, con una difficile vita relazionale e un’incapacità di fondo di essere un buon marito e un buon padre.«Per lavorare in questo film – spiega Favino durante la conferenza stampa a Roma – mi sono addestrato attraverso il rugby. Ho compreso cosa può accadere in un uomo quando deve difendersi da persone che ti spingono, che ti sputano e che ti lanciano pietre. Dentro di te senti pulsare qualcosa che ha che fare con l’aggressività. Comprendi però come la violenza e l’odio non sono solo dei celerini e degli ultrà. Ma esistono in ognuno di noi». E sulla partecipazione alla sceneggiatura Bonini spiega: «La durezza della violenza, moltiplicata dalle immagini del film, fa parte di noi, della nostra realtà. Quando il libro fu pubblicato mi chiesero se avessi preso in considerazione il rischio morale del contenuto. Ho capito che dovevo liberarmi dal ricatto "morale" altrimenti avrei raccontato non la realtà ma solo ciò che sarebbe stato funzionale alle mie convinzioni».Un problema però c’è. Se pur il film è impeccabile nella messa in scena e nell’interpretazione resta evidente come odio e violenza, crudelmente rappresentate, lasciano nello spettatore una traccia chiara. Portando ad avere, come lo stesso titolo lascia intuire, una posizione aggressiva e giudicante. «Acab – come scrivono gli sceneggiatori nelle note di regia – è un grido degli ultras, un libro e ora un film, tutti con la stessa matrice, lo stesso tema: l’odio, crudo, virale, puro. Che è dentro di noi, che ci piaccia o meno». Ma che ci piaccia o meno il film, giudicato di interesse culturale, senza moralismi e buonismi lascia l’amara consapevolezza di una realtà dove non c’è soluzione all’
homo homini lupus. Per ora, dalla polizia non ci sono state reazioni ufficiali. «Alcuni hanno mostrato riserve, altri hanno compreso le nostre intenzioni» spiega il regista. Alla fine, torna la domanda di partenza: a chi serve nel clima attuale un film sui poliziotti violenti?