La storia si ripete, e il volto di una tragedia è sempre uguale. Nel primo decennio del Novecento Lewis Hine fotografava gli immigrati che sbarcavano a Ellis Island soffermandosi sui loro sguardi. Nel primo decennio del Duemila, Emanuele Crialese, con la stessa sensibilità e riguardo, si sofferma sui nuovi immigrati, stavolta di colore, che arrivano in Italia e li sorprende nei loro sguardi che con dignità chiedono aiuto. Lo fa in Terraferma del 2011 (premio speciale della giuria a Venezia), ambientato in un’isola che potrebbe essere Linosa o Lampedusa. Il dramma degli irregolari che il mare porta sulla spiaggia entra nella vita dei pescatori e deve per forza interrogarli. Memorabile la scena del salvataggio di un gruppo di naufraghi. I bagnanti li soccorrono e li dissetano. Eppure il cuore non è di tutti. Crialese ricorre a una metafora magistrale: dal gruppo dei bagnanti spunta quello che tira fuori un telefonino e immortala la tragedia a beneficio del personale archivio di stupidità. Il Nobel a Lampedusa? Il regista specifica: «Ai pescatori», come quelli del suo film.
Lei si è occupato della tragedia dei naufraghi in «Terraferma». Mostra quelli che li soccorrono quasi fossero samaritani. Pensa che in Italia ci sia questo sentimento?Purtroppo mentre mi documentavo, in fase di scrittura del film, vedevo come il sentimento prevalente fosse diffidenza, paura. I giornali titolavano "Emergenza", "Invasione". L’atteggiamento politico e giornalistico (non erano certo da premio Nobel) gridava al pericolo. L’isola di Lampedusa protestava contro l’ampliamento dei centri accoglienza, temevano di diventare una prigione in mezzo al mare, le immagini che mi arrivavano erano crude, non mostravano nessuna clemenza. È per questo che ho deciso di girare una scena che fosse antitetica rispetto a quella che era la realtà. Volevo evocare un sentimento di pietà, di civiltà, e ho girato la scena come se fosse sospesa, sognata, irreale…
Nell’altro suo film «Nuovomondo» mostra che anche noi siamo stati disperati in cerca di una terra migliore. L’intenzione era di ricordarlo a chi in Italia lo ha dimenticato?«Nuovomondo» è un film sul desiderio di evolversi, di crescere, di vivere in un luogo più accogliente e più civile. Affrontando la discriminazione, i pericoli del viaggio, l’ignoto, il mistero. In Italia una famiglia su tre ha parenti che vivono e lavorano all’estero. Siamo un popolo di emigranti. Non lo abbiamo dimenticato. Ma di fronte alla paura dell’<+corsivo>invasione<+tondo> o all’<+corsivo>emergenza<+tondo> si perde la memoria e si scatena il panico…
Gianni Amelio, l’autore di «Lamerica», il film sull’esodo di massa degli albanesi, ricordò proprio sulle pagine di «Avvenire» che un suo giovane attore aveva poi iniziato ad occuparsi di cinema, una volta stabilito in Italia. Ha anche lei storie del genere da ricordare?La giovane protagonista di «Terraferma» è arrivata al porto di Lampedusa su un barcone partita dalle coste libiche con 80 persone a bordo. È rimasta alla deriva causa avaria del motore per tre settimane. Sono morte 75 persone durante quel viaggio. Lei è sopravvissuta insieme a quattro uomini. Oggi è sposata, ha una bellissima figlia, vive e lavora in Olanda.
Il Papa nella sua recente visita a Lampedusa ha indicato a tutti il dovere di accoglienza. Ciascuno di noi, nel suo piccolo, cosa può fare per queste persone?Il messaggio del Papa risponde nel migliore dei modi e con potenza a questa sua domanda. Quando si è fermato sullo stesso molo in cui ho visto arrivare gente in fin di vita e inginocchiarsi per baciare la terra, da quel molo il Santo Padre ha detto «No alla globalizzazione dell’indifferenza». La gente di queste isole sa cosa fare. Con i miei film ho voluto ringraziare tutti quelli che hanno il coraggio di dare soccorso, che non voltano la testa dall’altra parte per paura di infrangere chissà quale legge. Sono persone che seguono una legge che io chiamo la legge del mare che è una legge della natura. Noi ne facciamo parte e credo che dobbiamo rispettare ciò che la nostra coscienza ci impone come istinto naturale: aiutare il nostro prossimo.
Ritiene che il nostro Paese abbia fatto abbastanza per gli immigrati e per favorire la loro integrazione?Ci sarebbe ancora molto da fare se solo riuscissimo a trovare più stabilità, più coerenza, più chiarezza d’intenti.
Lo vedrebbe il premio Nobel per la Pace a Lampedusa e ai Lampedusani?Ci tengo a ricordare che Lampedusa non è sola, c’è Linosa che è un’isola minore, senza personale specializzato, con un porto fatiscente. Gli emigranti vengono raccolti nella palestra della scuola del paese, non esiste un centro accoglienza a Linosa. Credo che debba essere inclusa e riconosciuta insieme a Lampedusa. Mi piacerebbe che si trovasse il modo di dedicare questo riconoscimento soprattutto ai pescatori. A coloro che rinunciano ad una giornata di lavoro, perdono carburante e spesso rischiano la vita per dare soccorso. I miei veri eroi sono loro.