ANSA
La legge 40 parla di «età potenzialmente fertile» tra i requisiti previsti all’articolo 5 perché una coppia possa accedere alla fecondazione assistita, omologa o eterologa. Ma per il Tar della Lombardia sembra che questo criterio sia interpretabile non più alla lettera, se è vero – come annuncia l’Associazione radicale Luca Coscioni – che cade ora con la sentenza emessa il 19 luglio il limite di età posto a inizio 2018 dalla Regione a 43 anni per poter ottenere prestazioni di procreazione assistita eterologa (cioè con uno o entrambi i gameti forniti da persone esterne alla coppia di aspiranti genitori).
I giudici amministrativi hanno infatti accolto il ricorso degli avvocati Caliandro e Paolini annullando la delibera regionale in materia di fecondazione eterologa là dove disponeva che fosse possibile cercare un figlio con l’eterologa in strutture accreditate e col solo pagamento del ticket se l’età della donna non supera i 43 anni e fino a un massimo di tre cicli. Evidente – e ragionevole – l’obiettivo di limitare il moltiplicarsi di tentativi che già al di sopra dei 40 anni vedono le percentuali di successo ridursi al lumicino. I dati della recente relazione al Parlamento del Ministero della Salute per il 2017 dicono che su 78.366 coppie trattate e 97.888 cicli avviati i bambini nati sono stati solo 13.973. Per l’eterologa i numeri non sono dissimili: dai 6.771 cicli iniziati sono nati 1.610 bambini. E sul fattore anagrafico il Ministero parla chiaro: «All’aumentare dell’età il rapporto tra gravidanze ottenute e cicli iniziati subisce una progressiva flessione mentre il rischio che la gravidanza ottenuta non esiti in un parto aumenta. I tassi di successo diminuiscono linearmente dal 24,0% per le pazienti con meno di 35 anni al 5,7% per quelle con più di 43 anni». Non solo: «Il 53,7% delle gravidanze in donne da 43 anni in su – si legge ancora nella relazione – ha esiti negativi (aborti spontanei, gravidanze ectopiche, ecc.)».
Ecco perché la Regione Lombardia aveva saggiamente deciso di non spendere denari dei contribuenti per una tecnica che dopo i 43 anni offre percentuali di successo irrisorie, un gran numero di complicazioni (delle quali il Servizio sanitario deve ovviamente farsi carico) e un mucchio di illusioni, che spingono a riprovarci più volte visto non c’è più neppure il limite dei tre cicli. Secondo i ricorrenti, la sentenza farebbe giustizia della differenza di trattamento tra donne in base all’età. Ma il diritto a volte sembra litigare con la scienza. Che la fertilità decresca con l’aumentare dell’età non è un’ingiusta discriminazione: è un fatto naturale. E nessuna sentenza può cambiare le cose.