Quando l'allora generale dei domenicani, fra Timothy Radcliffe, pronunciò la celebre conferenza "La missione in un mondo in fuga" ( tinyurl.com/j5sb642 ), in tema di annuncio cristiano e globalizzazione, eravamo alla fine del Grande Giubileo. Mark Zuckerberg aveva solo sedici anni, anche se era già un informatico promettente, mentre Jorge Mario Bergoglio ne aveva 64 (cioè quattro volte tanto), era appena divenuto arcivescovo di Buenos Aires e stava per essere creato cardinale. In quel momento sarebbe stato più facile accreditare il maturo prelato della possibilità, per quanto remota, di essere, sedici anni dopo, Papa, piuttosto che accreditare il vivace adolescente della possibilità di rientrare, sedici anni dopo, tra le persone «più ricche e influenti al mondo» (classifica di Time). Ma il nostro è un "mondo in fuga", cioè caratterizzato, spiegava Radcliffe, «dal fatto che non sappiamo dove stia andando». E infatti ha potuto portare l'uno a visitare, insieme alla moglie Priscilla Chan, l'altro.Le cronache ecclesiali digitali dell'incontro riportano il poco che ne è stato riferito: dal Papa, attraverso il direttore della Sala stampa della Santa Sede, Greg Burke; da Zuckerberg, attraverso un post ( tinyurl.com/bjtz6kx ) sulla sua pagina Facebook (e dove se no?) . Che ha ottenuto 318mila "mi piace" e 13.500 condivisioni, nonché 7.500 commenti, tra i quali uno dei primi ironizza sul temporaneo abbandono, per l'occasione, della celebre maglietta grigia. Questo post del celeberrimo informatico si esprime nella calda lingua dei social, almeno tanto quanto la nota vaticana si esprime, necessariamente e apprezzabilmente, in quella neutra dell'ufficialità. Dentro contiene, mi pare, una forte quota di autopromozione e un po' di inevitabile retorica. Ma anche un apprezzamento che considero sincero del fatto che papa Francesco ha trovato «nuovi modi per comunicare con la gente di ogni fede in tutto il mondo». Detto da Zuckerberg...
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