«YouTube è uno dei principali canali usati dalla disinformazione in tutto il mondo». È quanto si legge in una lettera aperta inviata a Susan Wojcicki, amministratore delegato della piattaforma video di proprietà di Google, firmata da 80 organizzazioni sparse nel mondo che si occupano di fact checking (cioè di verifica delle informazioni).
Per questi esperti «le misure già adottate da YouTube per contrastare la disinformazione si stanno rivelando insufficienti». La questione non riguarda soltanto i contenuti a tema Covid, sui quali YouTube è già intervenuta pesantemente a partire dall'ottobre 2020, arrivando a vietare ogni disinformazione sulle vaccinazioni. Nella loro lettera i factchecker sottolineano esempi che riguardano le elezioni nelle Filippine e a Taiwan, video di incitamento all'odio in Brasile sino a ciò che è avvenuto in America, prima e dopo l'assalto al Campidoglio di un anno fa.
Nella lettera aperta non ci sono solo critiche ma anche proposte. A partire da un dato importante. «YouTube ha finora inquadrato le discussioni sulla disinformazione in termini di una falsa dicotomia tra eliminare o non eliminare contenuti. In questo modo, si scarta la possibile soluzione: far emergere informazioni verificate è più efficace che eliminare contenuti. Preserva la libertà di espressione, riconoscendo al tempo stesso la necessità di ulteriori informazioni per ridurre i rischi di danni alla vita, alla salute, alla sicurezza e ai processi democratici».
In particolare le 80 organizzazioni esortano YouTube a fare quattro passi concreti: impegnarsi a finanziare ricerche indipendenti sulle campagne di disinformazione presenti sulla piattaforma; dare spazio a confutazioni e precisazioni all'interno dei video che diffondono fake news; impedire ai suoi algoritmi di promuovere canali e soggetti recidivi («considerato che gran parte delle visualizzazioni su YouTube provengono dal suo stesso algoritmo di raccomandazione»); e fare di più per contrastare le falsità presenti nei video non in lingua inglese. Quest'ultimo punto è supportato da un passaggio della lettera dei factchecker, dove si sottolinea come l'incapacità di YouTube di affrontare la disinformazione «sia particolarmente marcata in America Latina, Asia e Africa».
La risposta di YouTube è arrivata dalla portavoce Elena Hernandez: «Il fact checking è uno strumento fondamentale per aiutare gli utenti a prendere le loro decisioni sulla base di informazioni verificate, ma è solo un pezzo di un puzzle molto più grande che ha l'obiettivo di affrontare la diffusione della disinformazione. Nel corso degli anni, in tutti i Paesi in cui operiamo, abbiamo investito molto in policy e prodotti che avessero lo scopo di mettere a disposizione delle persone contenuti autorevoli, di ridurre la diffusione della disinformazione borderline e di rimuovere i video che violano le policy. Abbiamo registrato importanti progressi, mantenendo la fruizione di contenuti suggeriti borderline significativamente al di sotto dell'1% di tutte le visualizzazioni su YouTube, e solo circa lo 0,21% di tutte le visualizzazioni sono di contenuti violenti che poi rimuoviamo. Lavoriamo continuamente per cercare nuovi strumenti per migliorare e continueremo a rafforzare il nostro lavoro insieme alla community del fact checking».
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