Solidali con Zelio Zucchi: il basket ha figurine che meritano quanto quelle del calciofilo Guido Lajolo. Straordinarie sono quelle di Yelverton & Morse. A 70 anni il gigante nero di Harlem Charlie Yelverton l'ho scovato a Miazzina, sopra il Lago Maggiore, dove vive e sbarca il lunario facendo il coach coi ragazzi e suonando il vecchio sax che gli regalò Kareem Abdul Jabar. L'amico che gli voltò le spalle nel 1972 quando, da stellina dei Portland Trail Blazers, Charlie gridò all'America di Nixon il suo "no" alla guerra in Vietnam. «Al momento dell'inno, per protesta non mi alzai in piedi. Non volevo essere complice di quella sporca faccenda». La pagò cara. Lasciate le luci della ribalta, finì a guidare a fari spenti un taxi per le strade di New York. Intanto a Varese, nella Ignis del "cumenda" Giovanni Borghi, atterrava il biondo di Filadelfia Bob Morse. Yelverton lo raggiunse e assieme vinsero scudetti e salirono sul tetto d'Europa. In mezzo ci fu la «notte della vergogna», durante il match contro il Maccabi Tel Aviv gli skinhead varesini inneggiarono al genocidio degli ebrei. Una pagina triste che Charlie spazza via eseguendo un assolo di Parker. Dall'altra parte dell'Oceano, nell'Indiana, il professor Morse anche questa mattina sale in cattedra per spiegare Dante e Manzoni ai suoi studenti del corso di letteratura italiana al Saint Mary's College de Notre Dame.
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