Il 18 maggio prossimo cadrà il centenario della nascita di San Giovanni Paolo II. I cattolici polacchi e del mondo intero, a dispetto del Covid-19, si preparano a celebrare al meglio l'anniversario. Nell'occasione, i vescovi della nazione che ha dato i natali a Karol Wojtyla hanno chiesto di dichiararlo Dottore della Chiesa e co-patrono d'Europa. In teoria la proposta potrebbe piacere anche dalle parti di Bruxelles, ma difficilmente qualcuno si esprimerà. Lo vietano, immagino, il sacrosanto principio di laicità o il timore di venire accusati di ingerenza o più semplicemente lo scarso interesse per la materia.
Eppure il primo Papa polacco della storia qualche buona freccia europeista al suo arco può vantarla, anche in virtù delle sue "incursioni" nella madre-patria già da ben prima che crollasse il Muro di Berlino. Si pensi alla prima straordinaria visita pastorale del 1979, appena otto mesi dopo l'elezione al soglio pontificio, con i dieci milioni di connazionali che lo accompagnarono tra il 2 e il 10 giugno sotto gli occhi sbigottiti delle autorità comuniste locali.
Fu nella cattedrale di Czestochowa, davanti a tutti i vescovi del Paese, che Giovanni Paolo lanciò il suo primo solenne appello all'«unità fondamentale» del Vecchio Continente, malgrado l'allora profonda divisione ideologica tra est e ovest. Quel giorno il fondamento unitario da lui indicato, alla luce della storia, era anzitutto quello spirituale d'ispirazione cristiana, perché «le sole ragioni economiche e politiche non sono in grado» di garantire unità e stabilità.
Vero è che i decenni successivi, nonostante gli allargamenti, hanno del tutto ignorato quella esortazione, fino al punto di rimuovere la memoria delle radici cristiane dal preambolo al Trattato istitutivo della Ue, firmato a Roma il 29 ottobre 2004. Appena due giorni dopo quella cerimonia in Campidoglio, all'Angelus domenicale, il vecchio Papa ormai vicino alla fine della sua straordinaria vicenda terrena si compiaceva malgrado tutto del «momento altamente significativo» appena vissuto. Ma di nuovo ribadiva che «tener conto delle radici cristiane del Continente significa avvalersi di un patrimonio spirituale fondamentale per i futuri sviluppi dell'Unione».
A giudicare dagli eventi odierni, è difficile negare la valenza profetica di quell'ultimo monito. E quando mercoledì scorso Papa Francesco, invitando a pregare per l'Europa, ha chiesto la protezione della patrona Santa Caterina da Siena, affinché «tutti insieme possiamo andare avanti come fratelli», cos'altro evocava se non quel comune fondamento spirituale senza il quale non esiste fratellanza?
Eppure, senza sbilanciarsi sul difficile terreno della fede, l'eredità del Pontefice polacco offre altri spunti di forte attualità per celebrarlo. Per esempio, nel discorso all'Europarlamento dell'11 ottobre 1988, Wojtyla citò «tre campi» d'azione nel quali l'Europa «dovrebbe riprendere un ruolo di faro nella civilizzazione mondiale». Il primo era quello di «riconciliare l'uomo con la creazione, vegliando sulla preservazione dell'integrità della natura, della sua fauna e della sua flora, della sua aria e dei suoi fiumi, dei suoi sottili equilibri, delle sue risorse limitate».
Capito? il Papa polacco, quando ancora l'Europa era "a 12" e i genitori di Greta Thunberg neppure si conoscevano, preconizzava la "rivoluzione verde", oggi tanto cara alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, che ne ha fatto il suo più grande obiettivo («Sarà il nostro uomo sulla luna»). Suggerimento per Janusz Wojciechowski,
il cattolico Commissario Ue polacco che, tra l'altro, detiene il portafoglio all'Agricoltura: proponga il suo connazionale più illustre del XX secolo come patrono del Green Deal. Vediamo se gli rispondono.
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