Senza tanto clamore, mentre nei palazzi di Bruxelles si parla quasi solo della possibile ricandidatura di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Ue, si allarga la platea degli elettori chiamati l’anno prossimo al rinnovo del Parlamento europeo. Dal 1° maggio è infatti entrata in vigore in Belgio la legge che abbassa da 18 a 16 anni la possibilità di votare per l’Eurocamera. Per quasi 280mila giovani cittadini del Regno posto nel cuore dell’Unione, si aprirà dunque la strada delle urne, finora riservata solo ai maggiorenni.
Il Belgio si unisce così alla finora ristretta pattuglia dei Paesi dove l’età minima per le elezioni europee è stata portata a 16 anni, andando ad aggiungersi ad Austria, Malta e Germania. In parte, vi rientra anche la Grecia, dove però la soglia è fissata al compimento del diciassettesimo anno. Il 2022 era stato proclamato da tutti i Ventisette Paesi e dal Parlamento di Strasburgo “Anno europeo della gioventù”, una decisione presa poche settimane prima dell’aggressione russa all’Ucraina. Nonostante la cappa di gelo calata sul Continente a causa della guerra, l’Eurocamera approvava poi, a inizio maggio, una risoluzione in materia di voto per i giovani, con la richiesta - non vincolante - agli Stati membri di abbassare il diritto di voto a 16 anni.
Al momento, non si sa se altri Paesi seguiranno l’esempio dei quattro apripista e il dibattito sull’opportunità di procedere in quella direzione rimane aperto. Nel presentare la riforma, la ministra dell’Interno belga, Annalisa Verlinden, ha spiegato che gran parte delle decisioni prese a livello comunitario hanno un impatto significativo sul futuro delle giovani generazioni. Basti pensare alla mobilità o all’ambiente, ma si potrebbero aggiungere anche la cornice delle regole da costruire per l’intelligenza artificiale e la tutela dai crimini informatici. Per questo, ha aggiunto, è giusto offrire loro la possibilità di esprimersi su queste materie.
L’approccio belga è abbastanza prudente, perché la riforma prevede che i giovani intenzionati a votare l’anno prossimo devono iscriversi prima alle liste elettorali del proprio comune di appartenenza, mentre per chi ha compiuto 18 anni l’iscrizione scatta automaticamente. E poiché per la legge belga tutti i cittadini maggiorenni hanno l’obbligo giuridico di recarsi ai seggi (non farlo è, sulla carta, un reato punibile con una multa), ai teenagers “matricole” sarà lasciata la libertà iniziale di esercitare o meno il loro nuovo diritto. Con la scelta di iscriversi, e quindi obbligandosi poi a votare, si presume che la loro adesione risponda a una presa di coscienza personale, che manifesti in qualche modo una decisione meditata e convinta.
Resta il fatto che il voto ai sedicenni continua a dividere le opinioni pubbliche dei Paesi democratici. In Germania, il Parlamento ha votato a novembre scorso l’abbassamento dell’età, con i soli voti della maggioranza che sostiene il Cancelliere Scholz. Unanime era stata invece la decisione dei legislatori maltesi nel 2018. In diverse nazioni si preferisce da tempo consentire il voto solo per le consultazioni locali, immaginando un maggiore interesse dei giovani per i problemi più “vicini” a loro. Ma ai ragazzi, si replica, importano forse di più le grandi questioni ideali e i temi legati al loro futuro che le faccende del cortile di casa. Vero, ma a 16 anni sono abbastanza maturi per contribuire a governarli con cognizione di causa? La scelta belga “in due tappe” è forse una via da valutare.
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