Caro Avvenire,
sono un professore. Nella mia vita ho insegnato Ladino, Italiano, Tedesco, Filosofia, Storia, Geografia e Religione. Adesso ho il ruolo in Religione alle scuole medie e alle scuole superiori di La Villa in Val Badia. Mi diverto molto ad insegnare e mi piace. Anche se non sempre è facile. Ci vogliamo bene con gli scolari e con gli studenti. La scuola è una grande palestra di vita. Il mio traguardo più alto è quello di tentare di trasmettere a scolari e studenti gli strumenti per cercare di raggiungere la felicità.
Christian Ferdigg
Caro Ferdigg,
la sua lettera apre un confortante squarcio di ottimismo. Non tanto nella scuola, dove sono molti i docenti impegnati in una missione di insegnamento orientato al bene dei loro allievi, ma nell’intera società. Chi ha oggi l’ambizione di avvicinare la felicità? Chi ha il coraggio di dire che svolge un lavoro gratificante senza accodarsi al clima di lamentela e rivendicazione che viene veicolato da molti canali di comunicazione e finisce per contagiarci quasi tutti?
Conoscendo bene la Val Badia e La Villa in particolare, mi verrebbe da dire che lo splendido ambiente dolomitico contribuisce ad alimentare il suo ottimismo. Ma sarebbe riduttivo. C’è una comunità, unita anche dalla lingua antica e tuttora coltivata, che tiene vive le proprie radici, eppure non è per nulla chiusa nel passato. Il Tru di artisc, Il sentiero degli artisti, che parte dal paese, è una galleria a cielo aperto con opere di autori locali che guardano alla contemporaneità e si abbina a testi poetici in lingua ladina, testimonianza di un equilibrio fra tradizione e sperimentazione.
Lungo il percorso anche una biblioteca distribuita, per libera consultazione. Una gioia per i turisti che la sanno apprezzare, e il simbolo di una ricchezza umana e spirituale per i residenti. Nell’insegnare lì Religione, caro Ferdigg, forse può toccare più facilmente con i suoi ragazzi le corde della bellezza e della natura. Ma non necessariamente sarà più agevole conquistare i cuori dei giovani, che sono come ormai dappertutto attirati da messaggi rapidi, semplificati e, apparentemente, più accattivanti.
Penso però che non dobbiamo rassegnarci e, anzi, continuare a mirare in alto, come lei dice, verso un traguardo ambizioso, perché se ci fissiamo obiettivi minimi già in partenza non otterremo nulla di grande.
Recentemente, una collega mi parlava delle difficoltà che molti genitori hanno nell’accompagnare i propri figli nella fede dopo il percorso dell’iniziazione cristiana. Un compito oggi diventato arduo, in parte per la distanza tra i linguaggi sincopati della comunicazione giovanile e i riti sedimentati nei secoli della Chiesa. Servono quindi educatori capaci di trasmettere l’anelito alla felicità a una generazione che spesso si dichiara ansiosa, insicura, quando non spaventata dal futuro, e di certo distratta fra troppi stimoli. Insegnanti che non hanno paura di dire che siamo chiamati a una felicità più grande se abbiamo il coraggio di accettare una sfida d’amore. Senza imporre, ma offrendo gli strumenti e dando una limpida testimonianza.