Leggere fa bene, fa bene anche fisicamente. Calma per come fa fermare, stare, per come accalappia il pensiero, per come nel nutrire lo spirito, il ragionamento, l’immaginazione, aumenta il nostro benessere psicofisico. In tempi di virtualità dissennate, sempre andrebbe ricordato a chi più ci è caro il valore insieme calmante e stimolante della lettura. Per non dire del raccomandarlo ai più giovani, tanti dei quali travolti in un vortice di dipendenza dagli schermi e di assoluta indifferenza alle pagine stampate. Ci sono libri che andrebbero fatti leggere obbligatoriamente da ragazzini, perché mostrano invece l’estrema libertà insita nel leggere. Uno è certamente Huckleberry Finn di Mark Twain. Hemingway scrisse che c’era un prima e un poi nella letteratura americana, segnato dallo spartiacque di Huckleberry Finn; difficile dargli torto. Un personaggio, Huck, istruttivo nonostante la sua ribellione: istruttivo perché integro nel suo indomito amore per la libertà. La sua prima persona (così Twain lo fa parlare) è dalla prima riga volitiva e sempre polemica, ma anche autonoma, con una sua saggezza e con una profonda attenzione al prossimo, chiunque sia tra i tanti che gli capita di incontrare. Moltissimi gli incontri per Huck e Jim, il giovane schiavo che viaggia insieme a lui. Di ciascuna persona, Huckleberry Finn subito intuisce il peculiare tipo di umano. È un ragazzino straordinariamente furbo, ma anche sempre umano: umanissimo. Conosce i propri limiti (come quando ammette «so le tabelline fino a sei per sette trentacinque, ma non penso che saprò andare oltre anche se vivrò cent'anni, perché con i numeri proprio non ci prendo»). E proprio perciò sa leggere nell’animo altrui: perché sa cosa sia la vulnerabilità (come quando dice: «Ho provato per un secondo o due a vedere se trovavo la forza di parlare, ma non ho avuto fegato - ne avevo meno di un coniglio. Mi sentivo floscio come un sacco vuoto e allora ho smesso di lottare»). Saper ammettere e gestire la propria debolezza, autorizzarsi ad attraversare i propri momenti di cedimento non è la sola grande virtù morale di Huck.
Accanto alla sua vulnerabilità c’è anche la capacità di autocritica, (come le volte in cui «la coscienza lo rimprovera più forte che mai»). Un ragazzino, Huckleberry Finn, ma quasi un giovane uomo per le qualità di grande maturità che possiede. Anche per questo potrebbe e dovrebb’essere fatto leggere ai lettori più giovani, anche a scuola, nella preadolescenza o nella prima adolescenza. Non solo perché la vicenda e le sue gesta sono tra le più appassionanti che siano mai state scritte (non c’è pagina leggendo la quale, da lettori, non siamo esterrefatti e del tutto coinvolti dall’avvicendarsi delle sue mirabolanti avventure). Anche perché dimostra come mantenendo sempre accesa e desta una propria coscienza critica autonoma, del tutto indipendente, si possa restare dritti (senza per questo irrigidirsi) sul filo della vita e della conoscenza. Refrattario a ogni manipolazione, all’apparenza “anti-eroe” della morale, Huck è invece un esempio di coraggio, consapevolezza di sé, autenticità, fiducia nella vita. Viva Huckleberry Finn.
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