La vita del popolo reale abita i marciapiedi della città. I piccoli mestieri nascono, si inventano, si sommano e si susseguono freschi di giornata. Possono anche sparire senza lasciare traccia e se domandate dov'è finito il giovane che vendeva carte telefoniche sarete osservati con curiosità come si fa con un estraneo. Ci si occupa delle scarpe, da lucidare o da riparare, delle unghie per le signore, finte o da dipingere sul posto, dei vestiti da rammendare grazie a una macchina per cucire migrante tra un angolo e l'altro del marciapiede. Anche gli arrotini e i riparatori di pentole al dettaglio passano in giro e, come i venditori di alcol di contrabbando, fanno suonare la bottiglia col ferro per annunciarsi. C'è chi propone, non senza orgoglio, sacchetti d'acqua in plastica trasparente, gettabili appena usati, lontano da introvabili pattumiere. Accanto si trova anche chi vende, a suo rischio e pericolo, il ghiaccio per via degli insondabili tagli nell'erogazione dell'elettricità. Sui marciapiedi si vende ogni tipo di frutta e i prezzi variano secondo il cliente, come si addice all'economia di mercato selettivo. Il popolo resiste grazie ai marciapiedi che, malgrado le distruzioni programmate dal potere costituito, fioriscono dalle ceneri dei caterpillar che volevano cancellare l'informale. La sera stessa della distruzione si vendevano spiedini nell'unico spazio rimasto intatto. Tra un tombino e il palo della luce c'è un gommista che garantisce miracoli al momento.
Sui marciapiedi la vita è informale e irregolare. Anche i mendicanti trovano uno spazio a parte e fanno i pendolari con la strada accanto. Sono preziosi e loro modo insostituibili. Difficile salvarsi l'anima senza di loro. Le elemosine nel giorno della preghiera solenne e quelle occasionali gli altri giorni rendono i mendicanti altrettanto meritevoli di coloro che li assistono. Si salvano, a loro modo, entrambi. Aiutano a superare obsolete categorie tra materiale e spirituale, corpo e anima, pubblico e privato. Ogni cosa, infatti, è uno spettacolo senza limiti di tempo e spazio, così come il neoliberismo insegna e pratica. Agli incroci si offrono allo sguardo di frettolosi e incauti autisti i variegati tipi di umanità solitamente e pudicamente nascosta. Ciechi, storpi, zoppi, mutilati, muti e senza arti che si muovono con disinvoltura su carri a rotelle che funzionano a spinta. I bambini sono, come sempre, in queste e altre circostanze, i loro migliori alleati. Guidano i ciechi e fanno sentire i sordi, conducono i paralizzati, tendono la mano per i mutilati e chiedono un aiuto per i muti. Gli altri bambini, chiamati popolarmente 'talibé, piccoli studenti di scuole coraniche informali, dai quartieri di periferia raggiungono i marciapiedi del centro. I marciapiedi sono arredati da fiori finti di plastica, vasi di porcellana cinese, utensileria di seconda mano, serrature con chiavi, lucchetti colorati, passeggini per neonati, vasche per bagnetto a forma di cigno, spezie, patate di Agadez, carote e insalate del lungofiume, mele verdi e arance per tutte le stagioni, coltelli di diverse dimensioni, legna da ardere già tagliata, scarpe sportive, da passeggio e con tacchi a spillo che si piantano nella sabbia. Si trovano senza problema gli ultimi ritrovati della telefonia mobile e i pezzi di ricambio altrove scomparsi, non mancano i medicinali per le malattie più probabili. I quaderni sono esposti accanto a penne a sfera, sedie e materassi a molle sono a volte assieme ad armadi a specchio, appaiono sempre più spesso piccoli pannelli solari che il sole del Sahel mantiene in attività permanente, seminascosti dietro una paratia si trovano i capri che hanno il loro mondo a parte e le incaute galline faraone che vedono i loro giorni svanire nei fine settimana. Non si fermano mai coloro che vendono sigarette, caramelle e succhi di frutta. Seduta dietro una grande cesta che raccoglie alla rinfusa i profumi più raffinati per donne in cerca di emozioni, c'è una madre che nutre al seno l'ultimo nato. È la vita che rinasce dai marciapiedi.
Niamey, marzo 2019
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