Nel suo Messaggio per la Giornata mondiale della Pace del 2016, che aveva per tema “Vinci l'indifferenza e conquista la pace”, Papa Francesco indicava con forza come per avere una società più giusta, veramente a misura d'uomo, sia necessario per prima cosa sconfiggere l'indifferenza. Anzi, “le indifferenze”, al plurale. Perché, come scriveva, «la prima forma di indifferenza nella società umana è quella verso Dio, dalla quale scaturisce anche l'indifferenza verso il prossimo e verso il creato. È questo uno dei gravi effetti di un umanesimo falso e del materialismo pratico, combinati con un pensiero relativistico e nichilistico». L'uomo, proseguiva, «pensa di essere l'autore di sé stesso, della propria vita e della società; egli si sente autosufficiente e mira non solo a sostituirsi a Dio, ma a farne completamente a meno; di conseguenza, pensa di non dovere niente a nessuno, eccetto che a sé stesso, e pretende di avere solo diritti. Contro questa autocomprensione erronea della persona, Benedetto XVI ricordava che né l'uomo né il suo sviluppo sono capaci di darsi da sé il proprio significato ultimo; e prima di lui Paolo VI aveva affermato che “non vi è umanesimo vero se non aperto verso l'Assoluto, nel riconoscimento di una vocazione, che offre l'idea vera della vita umana”».
Non era la prima volta che Francesco affrontava il tema dell'indifferenza, e non sarebbe stato l'ultimo. C'è tornato anche domenica scorsa, all'Angelus, per tornare a ricordarci quanto quell'atteggiamento sia la tossina più micidiale che esista, capace di avvelenare nel profondo ogni rapporto umano. Per questo, ha detto, bisogna «bonificare gli avvallamenti prodotti dalla freddezza e dall'indifferenza», aprendosi agli altri «con quella cordialità e attenzione fraterna che si fa carico delle necessità del prossimo», avendo sempre «una premura speciale» per i più bisognosi. «Quanta gente, senza accorgersene forse, è superba, aspra, non ha quel rapporto di cordialità col prossimo… Non si può avere un rapporto di amore, carità, fraternità col prossimo, se ci sono dei “buchi”. È come su una strada, non si può andare se ci sono tante buche...».
Per questo, dunque, è necessario «cambiare atteggiamento». Intraprendere un cammino di conversione che rende «concreta» l'attesa del Natale, facendo come Giovanni Battista «vicino al fratello», indicando «prospettive di speranza anche in quei contesti esistenziali impervi, segnati dal fallimento e dalla sconfitta». Ecco perché è necessario partire con l'abbassare le «tante asprezze causate dall'orgoglio e dalla superbia», e compiere «gesti concreti di riconciliazione con i nostri fratelli, di richiesta di perdono delle nostre colpe». È così che si rende concreto quel cammino verso la conversione che richiede il Vangelo in questo tempo di Avvento, e che «è completa se conduce a riconoscere umilmente i nostri sbagli, le nostre infedeltà e inadempienze».
Dunque è con questa consapevolezza che ogni credente in Cristo è chiamato a essere «coraggioso testimone per riaccendere la speranza, per far comprendere che, nonostante tutto, il regno di Dio continua a costruirsi giorno per giorno». Accettando non di farci carico degli altri giorno per giorno, e con l'aiuto di Maria «preparare la via del Signore, cominciando da noi stessi; e a spargere intorno a noi, con tenace pazienza, semi di pace, di giustizia e di fraternità». Perché alla fine, come lo stesso Papa Francesco disse ad Assisi nel settembre del 2016, l'indifferenza non è altro che la forma contemporanea del paganesimo.
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