Vince la storia di don Salvatore con la preghiera che Dio ci ripensi
venerdì 17 aprile 2015
Il tema proposto con più insistenza negli ultimi giorni dall'informazione ecclesiale digitale è e resta quello del sangue sparso in nome o a causa della fede propria e altrui, anche a motivo delle reazioni alle parole di papa Francesco sul genocidio armeno di un secolo fa. Vi fa riferimento un post su tre.Ma la storia che ha più impressionato, generando alti picchi di popolarità – in particolare proprio sul sito di “Avvenire” (http://tinyurl.com/n7a93k6) – è stata quella di Salvatore Mellone. Un uomo di 38 anni, ammalato allo stadio terminale, che ieri pomeriggio, nella sua camera da letto (collegata in video con la chiesa parrocchiale) è stato ordinato presbitero.) – è stata quella di Salvatore Mellone. Un uomo di 38 anni, ammalato allo stadio terminale, che ieri pomeriggio, nella sua camera da letto (collegata in video con la chiesa parrocchiale) è stato ordinato presbitero.Anche a me questa storia ha colpito. In più, da osservatore, mi sono interrogato sulla forza del suo impatto, che considero indipendente da come è stata raccontata, e quindi conosciuta. Non ho infatti registrato nessuna particolare enfasi, né nei titoli, né nei testi. C'è stata una telefonata del Papa, ma non ha giocato un ruolo decisivo nel «promuoverla». Anche la lettera con la quale il vescovo di Trani-Barletta-Bisceglie, monsignor Pichierri, ha reso la sua Chiesa partecipe della decisione di esaudire la richiesta di don Salvatore (mentre scrivo è già prete), trattiene il dolore, pur senza nasconderlo. E per sapere qualcosa in più, bisogna leggere un non meno sobrio articolo del rettore del seminario di Molfetta, monsignor Renna, che sul “Sir” (http://tinyurl.com/m2vfztp) racconta di un percorso di formazione al sacerdozio iniziato da Mellone nel 2011 e di una malattia rivelatasi solo la scorsa estate.) racconta di un percorso di formazione al sacerdozio iniziato da Mellone nel 2011 e di una malattia rivelatasi solo la scorsa estate.Malgrado il forte anestetico rappresentato da tante cattive cronache del dolore, ci sono ancora persone che, se gli raccontiamo semplicemente di un uomo che entra in seminario a 34 anni, a 37 si ammala e a 38 diventa prete mentre corre tra le braccia del Padre, ci ascoltano. E, nella fede, lo accettano, pur pensando e pregando quello che pochi si azzardano a dire: «Che il buon Dio ci ripensi».
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