Alla fine partono davvero. Il Covid li ha frenati, qualcuno ha rinunciato, molti hanno solo cambiato destinazione. Finita la maturità, si organizzano in piccoli gruppi: meno Spagna e isole greche, che furono lo stesso mito balneare della nostra gioventù, e più Italia. Il tempo divide le generazioni, ma non cambia il fascino del viaggio giovanile. Che sembra un'esigenza fisica prima ancora che intellettuale, un istinto innescato dall'adrenalina, l'attesa conquista di un territorio lontano dal nido, dove fare esperienze da custodire solo per sé e per i compagni di viaggio. Ovviamente però partono con i soldi di mamma e papà, euri un tempo destinati solo ai figli dei benestanti, e che oggi circolano più diffusamente, perché si stava peggio quando si stava peggio. Partono, e lasciano genitori preoccupati per la pandemia non ancora esaurita. Altrimenti sarebbe stato bello vederli navigare, non solo in rete finalmente ma su traiettorie reali: itinerari studiati in gruppo, dopo tanti boh, ma sì dai, in qualche modo faremo. Loro partono così, sollevandoci da una delle ansie parentali della nostra epoca. Quella di vederli incernierati a oltranza nel cosmo virtuale, chiusi nel loro eccesso digitatorio elettronico stanziale: laddove “stanziale” è il letterale presagio di una vita consumata in una stanza, la loro. Buon viaggio allora. E tornate migliori.
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