Mercoledì, 21 marzo Arriva l'ora di partire. Necessità economiche vitali portano al piano, in città: guadagnarsi il pane, il companatico e magari le rose; pagare tasse e bollette. 12 date in giro per l'Italia, un piccolo tour, tre concerti la settimana, un pezzetto infinitesimale di un'economia indispensabile.Per quanto sia faticosa l'idea stessa di abbandonare il paesaggio domestico, le consuetudini quotidiane, ciò che mi aspetta è una forte cura ricostituente: energia allo stato puro. Un'occasione di verifica e una possibilità di elaborazione. Mi attardo intorno casa, un girovagare tra le prime gemme, i lumini sulle tombe dei morti, un'Ave Maria davanti la Maestà e riempirmi gli occhi del profilo dei monti. Un ultimo pensiero per gli animali e sorrido di me stesso: neanche dovessi partire per la Mongolia.Prendo la corriera, non lo faccio da anni; se devo abbandonare casa voglio che sia viaggiare, voglio guardarmi intorno, vedere, ascoltare per caso. Essere parte in causa. Vengo subito sommerso da ciò che non frequento, non conosco se non per luogo comune che diventa rifugio dell'ignoranza o riduzione della realtà ad un qualche tornaconto.La corriera si riempie di studenti, un'accozzaglia aliena in movenze da branco che ricalca, negli abiti, negli atteggiamenti, nei profumi, l'estetica della società dello spettacolo. Sembrano usciti da una sit-comedy, una qualsiasi sceneggiatura con sfondo occidentale ma basta poco, basta sbrancarli, riconoscere ognuno come protagonista e sono, tutti, meravigliosi nella loro individualità. Un inno alla vita, al perpetuarsi del mistero che avvolge l'uomo e nutre la sua umanità.Che i giovani abbiano problemi, anche gravosi, è indubbio ma sono congeniali al loro crescere nel loro tempo; non possono evitarli e saranno costretti a trovare soluzioni o ne saranno travolti. Chi si erge a paladino degli interessi dei giovani ha ben poco da offrire e spera di guadagnare. Che gli adulti facciano gli adulti e siano un buon esempio nei fatti; cosa altro hanno da offrire realmente?Avvicinandoci alla città, la corriera ormai vuota di studenti si riempie di presenze altrettanto aliene ma opposte nell'apparire: una somma di individualità che niente accomuna se non l'essere stranieri, immigrati alla ricerca di lavoro e di benessere. Silenziosi, schivi, ognuno avvolto da un'aura di solitudine che si allevia secondo il grado di somiglianza con i residenti: più si è simili, più si padroneggia la lingua italiana, più ci si sente legittimi e sono le signore ucraine e moldave, che sostengono la precaria impalcatura familiare quando malattia e vecchiaia impongono le proprie necessità, a farla da padrone; le loro risate, i toni squillanti di voce, gli atteggiamenti, il vestire, mi ricordano che l'Europa è un lascito culturale oltre che una realtà storico geografica, ben più e altro che burocrazia finanziaria a cui si tenta di ridurla.Giovedì, 22 marzo. Mi sveglio a Napoli e odoro questa capitale del sud mentre mi inebrio del suono delle sue voci. Una lingua tra le più belle del mondo costretta ad essere residuo etnico, regionalista, mentre dovrebbe risuonare in tutti i porti del Mediterraneo e oltre sugli oceani e rallegrare ogni palcoscenico.All'origine dei problemi sociali di questo nostro Paese c'è una unificazione per inclusione: si è voluto/dovuto costringere le terre d'Italia ad omologazione sabauda ma l'omologazione resta impossibile e del termine sabaudo s'è persa memoria. Sono appena terminati i festeggiamenti per il 150° e lungi da me ogni idea polemica, fatica inutile tanto quanto quella festaiola.
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