«Gli uomini che remano duramente sulle rotte del mare-esterno, e se ne vanno così lontano da cambiar cielo, rappresentano, per chi resta, una specie di geni-erranti». In Le parole perdute Victor Segalen viaggiatore e scrittore di fine Ottocento, racconta e svela i miti degli abitanti della Polinesia. La sua affermazione è riferita a quel mondo, ai giovani che si allontanano dalla loro isola remando su canoe leggere e indifese, per lanciarsi nel mare lontano. Ma ha valore universale: da qui la nostra venerazione per i viaggiatori di mare, l'aura fascinosa (e anche diffidente) che circonda il marinaio, rispetto al contadino o all'impiegato, che scelgono di restare ben ancorati alla terra e al luogo di lavoro. Gli abitanti della Polinesia, che ai tempi di Segalen appartenevano a quel mondo definito dagli etnologi "primitivo", vedono in chi si allontana nel mare esterno, oltre la portata degli occhi, un essere non del tutto umano perché inafferrabile, ubiquo, più coraggioso ma anche più inconoscibile degli abitanti dell'isola. In ognuno di noi c'è un polinesiano che vuole salpare su una canoa, verso l'ignoto del mare esterno, verso la dimensione metafisica, e confligge con un altro polinesiano, che a Vailima, a Roma, Londra o Chicago, ammira e teme l'altra parte di sé. E dal loro accordo dipende la nostra vita.
© Riproduzione riservata