sabato 10 febbraio 2007
La verità talora è dolce, talora è amara. Quand'è dolce, perdona; quando è amara, guarisce. Così sant'Agostino. Questi due volti della verità sono sempre percepibili. Da un lato, c'è il momento in cui essa ha il tono della consolazione, della gioia e della pace. D'altro lato, c'è l'occasione in cui è come «il cauterio del chirurgo: brucia, ma risana», secondo quanto scriveva Riccardo Bacchelli nel Mulino del Po(1938-40). Questa duplice funzione crea, però, reazioni diverse. La verità dolce è accolta con passione: intendiamoci bene, è giusto sentirsi riconosciuti in modo genuino e non ipocrita; è importante avere un avallo al proprio agire perché si è spronati a far meglio. Per questo è giusto dichiarare il valore di una persona o celebrare un atto o un'idea che abbiano in sé una bontà, una giustezza, una capacità. Anzi, Agostino dice di più: la verità dolce sa perdonare, permettendo all'altro di riconoscere il suo errore senza essere umiliato. La verità fredda e altezzosa, gelida come una spada di cristallo, genera solo infelicità e scoraggiamento. C'è, però, anche un altro profilo necessario della verità ed è quello capace di svelare il male ove si annida. È appunto la funzione del «cauterio», ossia del bisturi, come diceva Bacchelli. Abbiamo già avuto l'occasione in passato di evocare un detto del tedesco Georg Lichtenberg: «È impossibile reggere la fiaccola della verità in mezzo alla folla senza bruciare qua e là una barba o una parrucca». La verità non deve offendere, attaccare, urlare ma deve essere rigorosa, sincera nel giudicare ciò che è bene e ciò che è male, senza adulare o ingannare. Ed è solo così, con questa fermezza delicata, che guarisce l'anima malata.
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