Preparandosi al suo viaggio in Italia, Goethe annotava sul diario propositi e pensieri attinenti allo sguardo, all’atto del vedere. Sua intenzione partendo era trovare «quelle impressioni sensibili che non danno né i libri né i quadri». Ottenere un sapere diretto, scevro di filtri intellettuali. «Mettere alla prova lo spirito di osservazione»: e per farlo, guardare, bene, sempre meglio, tutto, il più possibile, allenando l’occhio così da renderlo «lucido, limpido e puro». L’Italia sarebbe stata conferma di un sapere accumulato, ma un sapere riconsiderato alla luce della visione reale. “Alla luce”, espressione calzante, se si considera che la teoria dei colori a Goethe venne in mente, e cominciò a germinargli nei pensieri, proprio viaggiando per l’Italia. Osservando cieli e luci, e solo una volta ritornato indietro addentrandosi nello studio di tesi e teorie in merito alla visione. «Io non intraprendo questo viaggio meraviglioso per ingannare me stesso, bensì per imparare a conoscere gli oggetti attraverso gli oggetti», aveva anche scritto sul diario. Intenzioni divenute realtà: le luci più nitide, i contrasti cromatici più forti, si sarebbero mutati in laboriose teorie solo dopo aver regalato al poeta viaggiatore le emozioni violente di una vista diretta, e illuminata.
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