«Gentile connazionale, si raccomanda anche per oggi di evitare qualsiasi spostamento non strettamente necessario e di stare lontano da ogni tipo di assembramento. Stessa raccomandazione valida per tutto il week end». Qui a Niamey da qualche giorno il governo ha decretato l'interruzione della connessione internet. Il motivo, non dichiarato, è ridurre i contatti tra persone e gruppi d'opposizione. In effetti, dopo aver annunciato, con relativa fretta, l'esito, ancora da confermare, del secondo turno delle presidenziali, si sono registrati disordini. L'annunciata vittoria del candidato del potere, Mohammed Bazoum, è contestata dall'opposizione che denuncia come non valide le elezioni del 21 febbraio. Capiamo meglio, adesso, il messaggio dell'Ambasciata italiana di Niamey riportato in apertura. La contestazione dei dati pubblicati dalla Commissione Elettorale Nazionale Indipendente è stata seguita dall'invito a manifestare il proprio dissenso per il "tradimento" contro la verità delle urne. Tafferugli con le forze dell'ordine, pneumatici in fiamme e blocchi di cemento per interrompere il traffico, case di uomini politici e giornalisti vandalizzate e due persone che hanno perso la vita; arresti di decine di dimostranti e l'accusa al capofila dell'opposizione di aver fomentato i disordini: ecco il bilancio provvisorio delle ore e i giorni che hanno seguito l'epilogo delle attese e temute elezioni. Prima "transizione democratica" dall'Indipendenza, ottenuta nel 1960 dalla Francia, che ha conservato intatti legami e interessi neocoloniali. Tra colpi di stato e regimi di eccezione si è giunti alla scelta democratica tra due candidati "liberamente" eletti. Una transizione, come c'era da aspettarsi, di sabbia.
La democrazia è troppo importante per lasciarla nelle mani dei politici. Senza cadere nella fin troppo citata retorica del potere del popolo, col popolo e per il popolo, si tratta anzitutto di domandarsi dove si trovi e chi sia "il popolo". E soprattutto di interrogarsi sul senso stesso della democrazia quando, non solo in questa parte del mondo, le competizioni elettorali sono assai simili a campagne militari. Il potere politico svuotato dalla politica, intesa come umile ricerca del bene comune e cioè salvaguardia dei diritti dei poveri, svela un volto violento e cinico che, come in uno specchio, rimanda l'immagine del mondo diviso nel quale ci troviamo a vivere. I comuni cittadini, per scelta o per noncuranza, accettano di essere trattati come una mercanzia, mero oggetto di scambio elettorale tra politici. Permettono così che sia confiscata la loro dignità umana, unica realtà non negoziabile, e consentono che un gruppo di persone, da anni, si accaparri la gestione esclusiva, venale e criminale della Cosa Pubblica in tutta impunità.
In troppi Paesi del Sahel e dell'Africa Occidentale, sono le stesse persone che, da decenni e col beneplacito della comunità internazionale, si accaparrano la scena. Costa d'Avorio, Togo, Guinea, Ciad, Nigeria, Niger presentano le stesse figure politiche riviste, corrette, consigliate e in definitiva imposte nell'assordante silenzio dei cittadini. Questi ultimi sono, per buona parte, tenuti in ostaggio dalla miseria e troppo occupati dal quotidiano sopravvivere per partecipare alla vita pubblica. Ma siamo, in Niger, età media stimata 16 anni, il più giovane Paese del mondo, e non ci dovremmo permettere una vecchissima politica basata sulla compravendita del consenso dei cittadini. La costruzione del tessuto politico del Paese deve andare di pari passo con l'affermazione di una società che si specchi nella Costituzione e nei suoi princìpi di sovranità popolare, sacralità della vita e giustizia sociale. Il rischio, se non si seguiranno queste o altre piste simili, sarà di passare da una democrazia "autoritaria", come ci classifica l'"Economist", a una democrazia "bananiera" o "tropicalizzata", dove i golpe militari sono il pretesto per "rigenerare" la politica. Anche questa è sabbia.
Niamey, 28 febbraio 2021
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