mercoledì 23 luglio 2003
Credevo che il mio viaggio fosse giunto alla fine,/ all'estremo delle mie forze,/ che la via davanti a me fosse sbarrata,/ che le provviste fossero finite e fosse giunta l'ora/ di ritirarmi nel silenzio e nell'oscurità./ Ma ho scoperto che la tua volontà non conosce fine per me./ E quando le vecchie parole sono morte, nuove melodie sgorgano dal cuore./ Dove i vecchi sentieri sono perduti,/ appare un nuovo paese meraviglioso. Ancora una volta, come non di rado abbiamo fatto in passato, facciamo parlare un poeta remoto da noi spazialmente e religiosamente ma capace sempre di cogliere alcune consonanze e affinità universali. Dalle Poesie (ed. Newton Compton) del poeta indiano Tagore (1861-1941) traiamo questi versi pieni di fiducia e di incoraggiamento. A tutti accade di sentirsi talora ormai finiti, stremati interiormente, tentati di ritirarsi da una vita troppo amara rinchiudendosi nell'isolamento e nell'indifferenza.

È, questa, la grande tentazione che colpisce sia i giovani sia gli anziani, sia le persone mature sia chi è esitante e incerto, gli
uomini colti e la gente semplice, chi vive solo e chi ha famiglia. Ecco, allora, l'appello del poeta che, tra l'altro, trasforma i suoi versi in preghiera. Dio, come diceva il profeta Isaia, citato anche da Gesù, non getta via la canna incrinata e non spegne il lucignolo fumigante ma rinnova, rinforza, rilancia. Trasfigura le parole vecchie e stanche imprimendo nuova energia e melodia. Ci spinge sui vecchi sentieri, lungo i quali ci siamo accasciati, per farci scoprire che essi conducono verso orizzonti inattesi e paesaggi di vita e di luce.
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