mercoledì 20 febbraio 2013
«Non bisognerebbe mi dimenticare che Milano è stata fatta anche, se non soprattutto, dai non milanesi», osserva Aldo Maria Valli in Milano nell'anima. Viaggio nella Chiesa ambrosiana (Laterza, pp. 218, euro 16), un bel libro che giunge a proposito in questo 1700° anniversario del famoso edito «di Milano» che sancì la libertà di religione (non solo per i cattolici) firmato da Costantino e Licinio, imperatori d'Occidente e d'Oriente. Infatti, puntualizza Valli, «l'imperatore Costantino era, diremmo oggi, serbo. Licinio era, più o meno bulgaro. Il duca Francesco Sforza era pisano. Ambrogio veniva dalle Gallie ed era di famiglia romana. Agostino, battezzato da Ambrogio, era africano. E Carlo Borromeo era di Arona».Neppure Valli è milanese, anche se a Milano ha studiato e a lungo lavorato (anche in questo giornale), pendolare dalla nativa Rho, e forse ci voleva proprio un «milanese della porta accanto» per scrivere un così appassionato atto d'amore per una città che da sempre ha attratto i non milanesi. Stendhal, sepolto nel cimitero di Montmartre, volle una lapide in italiano sulla quale, dopo il suo vero nome, Henri Beyle, fosse scritto «milanese»; più vicino a noi, il napoletano Giuseppe Marotta scrisse A Milano non fa freddo; Raffaele Crovi, di Paderno Dugnano ma emiliano d'adozione, esordì con Carnevale a Milano; Sergio Solmi, di Rieti, in una poesia di Levania si definiva «milanese»; per non parlare della milanesità del bellunese Dino Buzzati, e di tanti altri scrittori e artisti.La scrittura di Valli, adesso vaticanista del Tg1, è un felice esempio della positiva contaminazione fra giornalismo scritto e giornalismo parlato: dal giornalismo televisivo vengono la felicità della sintesi, la chiarezza espositiva, e un implicito rimando a immagini di cui le frasi fossero lucide didascalie; ma dal giornalismo scritto (da un certo giornalismo, almeno) derivano la capacità di argomentare e uno spessore culturale che sul teleschermo non ha modo di emergere.Il libro è un affabile baedeker per chi vuol scoprire o riscoprire Milano: succede, infatti, anche a molti milanesi di non aver messo piede, per esempio, nell'oratorio di San Protaso, la Gesetta di lusert (Chiesetta delle lucertole, perché un tempo sorgeva nei campi) dove pare che il Barbarossa (ricordo funesto) si sia fermato per ringraziare il Signore dopo aver distrutto Milano; o nella chiesa ottagonale di San Carlo al Lazzaretto, di manzoniana memoria; e non poche sono le sorprese che si annidano fra le 135 guglie del Duomo, mentre resta intatto il mistero delle due scacchiere sovrapposte sulla parete in fondo a sinistra della basilica di Sant'Ambrogio.Ma il libro non è solo una raccolta di aneddoti per turisti intelligenti: è una rapida ma documentata ricognizione della storia, soprattutto religiosa, di Milano, con la sequenza dei suoi arcivescovi fino ai giorni nostri (con una netta simpatia per i cardinali Martini e Tettamanzi), con i profili delle istituzioni culturali milanesi, dall'Università Cattolica all'editoria religiosa, alle mille iniziative assistenziali e di solidarietà. Non mancano i medaglioni di «milanesi» come Giovanni Testori e di viaggiatori affascinati da Milano come il cardinale Newman, ed è ricordato perfino lo strano prete guaritore, don Giuseppe Gervasini (1867-1941), il «pret de Ratanà», al quale Gianfranco Bettetini dedicò nel 1973 il film televisivo Stregone di città (questo particolare è sfuggito a Valli).Di un saggio ben riuscito si dice che «lo si legge come un romanzo»; ma Milano nell'anima, non è «come un romanzo», è davvero un romanzo, il romanzo di Milano.
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