Per una persona detenuta il giorno più bello dovrebbe essere quello della scarcerazione. Oggi, complice anche la grave situazione provocata dalla pandemia, si sono riaccese le polemiche sulle scarcerazioni e sulle misure alternative alla detenzione. Ma spesso ci si dimentica che, quando si esce dalla prigione, inizia un percorso che può essere anche più difficile: rientrare in faiglia, cercare un lavoro, affrontare una società per cui sei ormai "etichettato". Il recupero e l'inclusione dei carcerati e degli ex carcerati è un aspetto fondamentale dell'amministrazione della giustizia.
Recuperare alla società chi è stato in galera è molto più di un atto di solidarietà. È un principio sancito dall'articolo 27 della Costituzione. Elemento fondamentale per rompere l'isolamento e offrire la possibilità di ricominciare una nuova vita è la formazione al lavoro che, oltre a essere una garanzia per il proprio sostentamento materiale, diventa anche un'occasione di formazione in senso ampio, includendo un percorso di rieducazione a valori come la legalità, l'impegno e il sacrificio. Il ruolo degli educatori e degli psicologi all'interno degli istituti penitenziari diventa perciò molto importante nel risvegliare le energie positive e creative in persone doppiamente segnate dall'esperienza delle devianza: per la scelta dell'illegalità che le ha portate a delinquere e per l'esperienza del carcere, spesso ancora più traumatica. Il primo passo consiste nella rottura dell'isolamento sociale e morale in cui viene a trovarsi il carcerato, per questo diventa importante creare occasioni di relazione con il resto della società, sia attraverso il lavoro sia organizzando incontri. Il livello di istruzione, con i deficit di tipo scolastico, formativo e professionale, è un'ulteriore difficoltà di accesso nel mondo del lavoro. Senza dimenticare l'età non più giovane della maggioranza delle persone recluse, che costituisce ovviamente un ostacolo aggiuntivo. A 45-50 anni è difficile trovare un lavoro, per un ex detenuto lo è ancora di più.
Nella società vi sono pregiudizi rispetto a coloro che hanno compiuto reati: è difficile perdonare, riconoscere che colui che è stato detenuto possa rifarsi una vita. Lo stereotipo associa la sua figura all'impossibilità di cambiamento. Ma tutti meritano, a mio avviso, una seconda possibilità. Evitiamo di costruire muri tra le cosiddette persone "per bene" e gli ex carcerati, perché la sola conseguenza è che chi è stato in prigione finisce per tornarci...
Padre stimmatino, cappellano Casa circondariale maschile "Nuovo Complesso" di Rebibbia
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