Quando osservo attentamente le strane abitudini dei cani, mi tocca concludere che l'uomo è un animale più evoluto. Quando osservo le strane abitudini dell'uomo, ti confesso, amico mio, che resto dubbioso.
Sul prato di un parco romano osservo un signore che brandisce un ramo secco; lo scaglia lontano e il suo cane, che ha seguito con occhi mobili il gesto, si precipita a raccoglierlo. E così via, in una sequenza senza variazioni. Non si può non restare ammirati per tanta devozione, ma anche per la sostanziale stupidità dell'animale. Si può, però, spostare l'attenzione anche sulla vacuità dell'uomo che impone un simile allenamento e si diverte in questo modo così banale. E allora si può raccogliere la provocazione, ben più sostanziosa, del poeta Ezra Pound (1885-1972) nella sua poesia emblematicamente intitolata Meditatio, della quale abbiamo citato un frammento.
L'evoluzione, certo, ha trasferito l'uomo su un livello più alto e l'arte lo testimonia, il pensiero lo conferma, la religione lo manifesta. Eppure il dubbio che serpeggia nella mente pessimista del poeta tante volte attanaglia un po' anche noi, quando scopriamo certe vergogne compiute dall'uomo o penetriamo nei bassifondi della nostra stessa coscienza ove s'annidano sentimenti infami e desideri innominabili e ove si aprono abissi di assurdità. Uno dei grandi sapienti dell'antichità, Democrito di Abdera (V-IV sec. a C.), diceva che l'uomo è un mikrós kósmos, un microcosmo di sapienza, intelligenza, creatività. Ma aveva ragione anche Goethe quando, nel suo celebre Faust, dichiarava che «l'uomo è un microcosmo di follia». E il cane, rivolgendo il suo muso umido verso il padrone crudele, sembra sospettarlo.
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