«Secondo me, una sola persona vale quanto tutto il popolo e il popolo quanto una sola persona». Questa sentenza, attribuita a Democrito (V-IV sec. A, C.) da Seneca ("Lettera" 7, 10), e indubbiamente improntata a un'etica aristocratica, sta a ricordarci da un lato che la verità non dipende dal consenso e dal numero, anzi spesso ne è nemica, dall'altro che immenso e imponderabile è il valore di ogni uomo. A questo proposito, ancor più decisa e sorprendente la considerazione di Epicuro, anch'essa riferitaci da Seneca (§ 11): «Noi siamo l'uno per l'altro un teatro sufficientemente grande». Come a dire, che ognuno di noi si specchia nell'altro, è l'immagine dell'altro, cattura il volto dell'altro: perché il primo spettacolo non è il mondo, non è Dio, ma l'uomo stesso. Egli è il vero miracolo, a se stesso e agli altri, perché ogni singola vita ha valore assoluto, ognuno di noi è unico e irripetibile. Questa è la vera equivalenza degli uomini, il vero uno vale uno: principio che noi abbiamo sciaguratamente banalizzato trasformando l'identità della dignità umana e l'unicità della persona in identità di ruoli ed equivalenza di competenze. Anche su questo punto la saggezza classica ci viene incontro e ci consegna la sua severa e inequivocabile lezione, laddove, con Eraclito (VI-V sec. a. C.), ci ammonisce che «uno solo, se è il migliore, vale diecimila» (frammento 49 Diels-Kranz).
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: