La mia vita s'è srotolata nella notte./ Tenebre e caos, la notte del peccato,/ mi hanno inghiottito./ Solo tu puoi fare di me un figlio della luce,/ o mio Salvatore.
Era nato a Damasco attorno al 660, aveva fatto il monaco presso il S. Sepolcro di Gerusalemme e poi era stato eletto metropolita di Creta, ove morì nel 740. Il suo nome era Andrea e ci ha lasciato, oltre a 40 omelie, anche un "canone" di nove odi, tra le quali un canto penitenziale di ben 250 strofe a cui oggi abbiamo attinto per la nostra citazione e per la relativa riflessione. È questo un modo per suggellare la Settimana di preghiere per l'unità dei cristiani, ricorrendo alla voce di un fedele delle Chiese d'Oriente, la cui opera è ancora viva nella liturgia bizantina.
Quella che egli ci propone è una meditazione aspra e severa: è uno sguardo impietoso e privo di vezzeggiamenti sulla vita. Essa assomiglia a un fiume lutulento che scorre nella notte, avvolto tra caos e tenebre. L'anima è inghiottita da questo abisso oscuro. Ma ecco irrompere un'alba sfolgorante: la luce di Dio dirada le tenebre e quel corso d'acqua si fa trasparente e riesce a riflettere in mille iridescenze i raggi del sole. È, questa, la parabola di una conversione. Lo scrittore francese François-René de Chateaubriand nella sua opera più nota, Il genio del cristianesimo, descriveva la sua conversione in modo lapidario: J'ai pleuré et j'ai cru, «Ho pianto e ho creduto». Le lacrime, anche se non esplicite come quelle di s. Pietro, lavano la coscienza; ma è soprattutto la grazia divina a farci creatura nuova, «figlio della luce». La salvezza, infatti, è un dono da accogliere.
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