Era uno di quei giorni di cielo netto e vento tagliente che chiudono l'autunno, e strappano dai rami le ultime foglie ostinate. Ce n'erano ancora di gialle come l'oro, e di rosse, tanto rosse che da lontano sembravano cespugli di rose. Ma, in poche ore, hanno ceduto tutte. E adesso sull'asfalto sono un mare arido e bruno. Cammini dentro al vento che si insinua sotto al cappotto, rabbrividendo. Gli alberi del viale sono ora completamente spogli (e qualcosa ti riecheggia dentro: come una somiglianza, una segreta simmetria). Sotto ai tuoi passi scricchiolano e gemono le foglie morte, come anime in pena. Poi una gran folata da Nord irrompe e si avventa sul mare secco, e spinge via le foglie tutte assieme, come un esercito in fuga. Eccole che traversano la strada correndo, scricchiolando, quasi un'onda. Ride il bambino che tieni per mano. Lui ride: in me, una malinconia rapinosa. Davvero sembrano anime queste foglie sospinte, rugose come vecchie, prosciugate di ogni linfa. Anime remote, che piangono i loro anni mentre la folata le trascina e le annienta. Cammino a capo chino. Poi rialzo la testa. No, non è vero, non saremo noi come foglie incenerite dal gelo, anime senza meta. Questo vento soffia una bugia. Stringo più forte la mano del bambino con me. Lui alza gli occhi e mi guarda, stupito. E ride, dei mulinelli che turbinano, lui innocente.
© Riproduzione riservata