Prodotto interno lordo in recessione, crollo degli investimenti pubblici, disoccupazione galoppante, mancanza di opportunità e decine di migliaia di giovani in fuga ogni anno. Benvenuti al Sud, anno 2020. L'antica "questione meridionale" è oggi più viva e drammatica che mai. Eppure una spessa coltre di silenzio e di indifferenza da parte di politica e media la ammanta ogni giorno, trasformandola in un destino non modificabile. Quasi una condizione ontologica, cui il Sud e i suoi abitanti possono solo rassegnarsi. Mettere in fila gli indicatori più recenti fa una certa impressione. A fine 2019, ha rivelato un report elaborato nello scorso dicembre dal Centro Studi Confindustria e da SRM (Intesa San Paolo), la crescita delle regioni meridionali si è fermata: le previsioni Svimez – confermate da Banca d'Italia – indicano per l'economia meridionale nel 2019 una flessione dello 0,2%. La spesa pubblica per investimenti a Sud è oggi la più bassa da 15 anni a questa parte: nel 2018 è stata pari solo a 10,3 miliardi. Il messaggio è chiaro: il sistema pubblico non crede che il Mezzogiorno possa avere chances concrete di rilancio. Non va meglio il mercato del lavoro, che invece è in gran parte il risultato degli investimenti privati: per quanto riguarda il tasso di occupazione, il divario tra Nord e Sud ha raggiunto nel complesso 24 punti percentuali. Un'enormità, che disegna due diverse Italie delle opportunità, dei diritti e dello sviluppo che faticano ormai ad avere un denominatore comune. Nelle regioni settentrionali il tasso di occupazione da 20 a 64 anni nel 2018 è quasi tornato al livello del 2008 per gli uomini ed è cresciuto di 3 punti percentuali per le donne. Nelle regioni meridionali, invece, il tasso di occupazione degli uomini è crollato di 5,5 punti percentuali rispetto a 10 anni fa e quello delle donne è cresciuto solo di 1,4 punti, facendo registrare peraltro una diminuzione delle occupazioni altamente qualificate, a differenza di quanto accade nell'altra Italia e nel resto d'Europa. In questo dato c'è la spiegazione dell'acuirsi del fenomeno della fuga di "cervelli" dal Sud: la ripresa non ha creato nuovi posti di lavoro qualificati per i giovani istruiti meridionali, che sono costretti ad emigrare.
La questione meridionale è troppo complessa e stratificata per lasciare spazio a ricette semplici. Ma un dato (tra gli altri) è certo: serve disperatamente una "scossa fiscale" che azzeri tasse e contributi per le assunzioni nel Mezzogiorno, come chiedono le stesse organizzazioni datoriali. Per compensare (in parte) le difficoltà di contesto in cui operano gli imprenditori meridionali, spingendoli a puntare sul fattore-lavoro ed in particolare sui giovani talenti. E' l'unica via per costruire, con una sola mossa, posti di lavoro per i singoli e una classe dirigente per la comunità meridionale.
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