Una cosa che dobbiamo tornare a imparare è l’ascolto. Non ce ne rendiamo conto, ma noi ascoltiamo poco, e lungo le nostre giornate ci lasciamo fluttuare dispersi fra tante interruzioni. Ipervalorizziamo rumori, sonorità secondarie, voci che si sovrappongono, e non ci disponiamo a captare l’essenziale che ci viene rivelato. A questo scopo, dobbiamo ricordare che il primo organo di ascolto è il cuore, non solo le orecchie. E che ciò che non ascoltiamo con cuore sveglio rimarrà posticipato, come un ospite alla porta che non arriva mai a essere accolto. Noi infatti andiamo curvi sotto il peso non solo di quelle cose importanti che, per una ragione o per l’altra, sono rimaste da dire: un altro peso che ci mette in imbarazzo è costituito da ciò che sarebbe stato importante ascoltare con attenzione, ma così non è avvenuto. Ci fa difetto tutta una pedagogia dell’ascolto. Senza di essa affronteremo la vita in modo sempre impreciso e sfocato: incapaci di cogliere il significato che si nasconde dietro una lacrima o in un sorriso; disattenti a come il bisogno d’amore resti tante volte mascherato da manifestazioni di aggressività, fatica o stupido orgoglio; impreparati a toccare, in noi e negli altri, la ferita e il sogno, l’argilla screpolata e la stella, il naufragio e il respiro, la rigidità che blocca e la danza lievissima, il vuoto e la briciola lucente.
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