Spesso lo si sente dire: una drastica riduzione della vista comporta l’acuirsi degli altri sensi. L’udito anche si affina, e l’ascolto trova nella grana delle voci conferma di pensieri o intuizioni già elaborate in precedenza, di altre che prendono invece forma ascoltando. Se a venire uditi con occhi immersi nel buio non sono solo parole, anche testi letti ad alta voce, allora è la qualità dello stile a stagliarsi, a spiccare per chi sta in ascolto. Racconta Alberto Manguel che lo scrittore Borges ormai del tutto non vedente (Manguel era addetto a leggergli a voce alta) prestava orecchio soprattutto alla qualità letteraria dei testi che ascoltava: fossero saggi, pagine di giornale, poemi o testi ciclostilati. La sua era una cecità ereditata dalla linea paterna: Borges seppe farne un proprio tema, un motivo di riflessione profonda al centro di pagine e poesie. «Cecità e vecchiaia sono due modi diversi di essere soli» diceva a Manguel. Scrisse in Elogio dell’ombra: «Che la luce di una lampada si accenda, anche se nessuno la vede. Dio la vedrà»; e nel buio degli occhi, sorretto da fervida fiducia, sino alla fine continuò a immaginare mondi, labirinti, abissi. Notte e libri erano i doni ricevuti dalla vita; e nel buio notturno, più che mai quei libri li ha composti, e ascoltandoli, capiti.
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