Il riferimento alla parabola delle vergini è fin troppo trasparente, ma va comunque registrato. Gli elementi sono gli stessi: le tenebre, la lampada, l’attesa di un visitatore che al termine del racconto si rivela figura di Cristo così come lo sposo nel racconto evangelico. Nel sonetto Lanterna all’aperto Gerard Manley Hopkins, poeta e sacerdote gesuita, tratteggia un apologo di limpida evidenza spirituale. La sua non è una semplice riscrittura della parabola, ma un’immedesimazione più fertile e radicale. «Talvolta una
lanterna muove nella notte. / Che interessa il nostro occhio. E chi passa? / penso, da dove e per, mi chiedo, dove, / con, per quella vasta oscurità, il suo guadante nume?», scrive Hopkins. L’accento cade sulla domanda relativa all’identità della comparsa, un viandante che di primo acchito siamo noi, inquieti e spaesati nel nostro vagare per il mondo guidati solamente da una luce incerta e fioca. Ma se ogni anima va per la notte portando con sé una lanterna, il bagliore scorto dal poeta potrebbe essere quello di Cristo, che dell’umanità ha voluto farsi inseguitore. «Con zelo incalza, col piede segue gentile, / loro riscatto, loro riscossa, e primo, fermo, ultimo amico», conclude Hopkins sintetizzando il comune destino di salvezza che Dio ha riservato agli esseri umani.
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