«Molto spesso noi sprechiamo i fatti di cronaca». L'ha detto monsignor Zuppi, arcivescovo di Bologna, intervenendo il 13 maggio scorso all'inaugurazione della "Culla per la vita". Si tratta di una culla termica posta presso un convento, quello delle Suore minime dell'Addolorata, assai prossimo a uno dei due grandi ospedali cittadini, ed è dunque destinata a salvare la vita a quei neonati che le mamme decidono di abbandonare nella forma più anonima. La frase del vescovo, riportata dal sito di "Famiglia Cristiana" ( tinyurl.com/m8byt6z ) e anche da "Bologna Sette" (edizione settimanale diocesana di "Avvenire"), allude al fatto che l'iniziativa, in capo alla sezione locale dell'Amci, ha preso origine quando, qualche anno fa, si ebbe notizia in città di un neonato trovato vivo in un cassonetto dell'immondizia, nei pressi dell'arcivescovado.
Mi intriga molto il monito a non sprecare i fatti di cronaca. Specie se lo riporto all'ambiente digitale, che effettivamente appare spesso piuttosto "sprecone". Il vescovo Zuppi vede infatti in tale spreco un segno dei tempi e una delle cause della nostra complessiva indifferenza, mentre si augura l'opposto: che le emozioni suscitate portino «a decisioni e quindi a impegni» che «cambiano davvero le cose». C'è dentro tutto un programma, sia per chi trova le notizie, sia per chi le seleziona e le pubblica, sia per chi le legge, e sappiamo che sempre più, in Rete, si tratta della stessa persona.
Lo spreco è allora quello dei like e degli emoticon dati senza leggere, delle condivisioni fatte senza verificare, dei commenti postati andando deliberatamente fuori tema. Cioè di emozioni dimenticabili, che rimangono fini a se stesse. Il non spreco è quando il "cosa posso farci?" si emancipa dalla condizione di domanda retorica per mettere in moto un operare concreto e solidale. Non per caso monsignor Zuppi ne trova il modello nel Vangelo: «pieno di fatti di cronaca» che hanno portato al cambiamento, «divenendo storia».
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