Vive sola con la figlia Susanna, gravemente inferma dai primi mesi di vita. L'infermità della figlia le impedisce di pensare alla propria morte tranquillamente. Tuttavia ha fiducia nella provvidenza, nell'affetto degli altri figli, negli angeli custodi. Benché in modo caotico, tormentato e discontinuo, crede in Dio.
Un anno prima di morire - cosa che accadrà l'8 ottobre 1991 a Roma, all'età di 75 anni - la scrittrice Natalia Ginzburg compilava questa toccante auto-testimonianza alla terza persona. È il ritratto di una donna tutta protesa a curare la figlia malata e che non ha altro conforto se non nelle convinzioni semplici e pure: la provvidenza, l'affetto, una fede «tormentata e discontinua» eppure genuina. È suggestivo quel riferimento anche agli «angeli custodi» che sono come i segni quotidiani della presenza di Dio, i suoi inviati a curare quelle modeste vicende in cui le sue creature sono coinvolte. Il Signore dell'essere e della storia ha la guida e la visione dell'insieme della realtà, ma si affida agli angeli per intervenire negli eventi piccoli di ogni persona e di ogni giorno.
C'è un'altra frase significativa nell'autoritratto della Ginzburg: essa si sente impedita a «pensare alla propria morte tranquillamente» dalla cura della figlia inferma. Certo, c'è un rimpianto in queste parole perché è doveroso - anche se si fa di tutto per evitarlo - il pensiero della fine che permette di assegnare un giusto valore alle realtà della vita. Ma c'è anche il segno di una benedizione perché, quando si è impegnati per gli altri, si dimenticano le proprie paure e preoccupazioni. È, quindi, una lezione di vita quella che l'autrice del Lessico famigliare ci propone, una vita autentica, semplice e fedele.
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